24 Gennaio 2018

Un modello economico per proteggere il Pianeta

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Questa è una storia sui beni comuni e su come evitare la cosiddetta ‘tragedia dei commons’. È anche una storia di un’economia soprattutto locale, in cui ogni componente prova un senso di appartenenza. Vorrei cominciare con una storia che parla di alcuni villaggi di pescatori in Giappone. Tempo fa, la preoccupazione dei pescatori era quella di procurarsi il maggior numero di pesci possibile, ma se tutti avessero continuato in tal senso, i pesci – un bene condiviso da tutta la comunità – sarebbero scomparsi, lasciando posto a scarsità e povertà. È quanto è avvenuto in alcuni villaggi. In altre comunità, invece, i pescatori hanno sviluppato una sorta di accordo sociale di contenimento reciproco con l’obiettivo di contrastare l’overfishing. Ogni pescatore avrebbe controllato a vista il comportamento degli altri e i trasgressori sarebbero stati sanzionati. Quando fu chiaro a tutti il beneficio sociale che si stava realizzando, nessuno ebbe più interesse a trasgredire.

Troviamo storie simili in ogni parte del mondo: dall’organizzazione dei pascoli e delle foreste nell’Europa medievale, all’utilizzo comunitario dell’acqua in Asia o all’approccio alla fauna selvatica degli indigeni in Amazzonia: con la consapevolezza di dipendere dall’uso condiviso di risorse finite, queste comunità hanno creato regole e pratiche, hanno rivoluzionato i loro comportamenti. Per poter garantire la disponibilità delle risorse domani, hanno imparato a rinunciare alla pesca e al pascolo intensivo oggi, all’inquinamento e allo svuotamento dei corsi d’acqua.

Le nostre attuali economie hanno perso la loro dimensione locale: è proprio quando ciò è avvenuto che il legame con il bene comune ha cominciato ad allentarsi. Immettiamo nell’aria milioni di tonnellate di gas serra, gettiamo plastica, fertilizzanti e rifiuti industriali nei fiumi e negli oceani e abbattiamo le foreste che assorbono CO2. Rendiamo la biodiversità molto più fragile. Come se avessimo dimenticato l’importanza dei beni pubblici globali: aria, acqua, foreste e biodiversità. Ma la scienza moderna ci ha aiutato a ricordare.

È possibile riprodurre il contratto sociale dei villaggi di pescatori su scala globale? Da dove cominciamo?

Ho individuato quattro sistemi economici chiave in cui è necessario realizzare un cambiamento. Per prima cosa, bisogna cambiare le nostre città: nel 2050, due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle città, pertanto le città dovranno divenire green. Secondo, bisogna trasformare il sistema energetico: il mondo economico deve andare verso la decarbonizzazione entro una generazione. Terzo, è necessario cambiare il sistema di produzione e consumo, abbandonando lo schema take-make-waste. Per ultimo, è importante modificare il sistema alimentare, cosa mangiamo e come lo produciamo.

Abbiamo un Pianeta da condividere. Respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua, dipendiamo dagli stessi oceani, foreste e biodiversità. Non c’è spazio per l’egoismo. I beni globali comuni devono essere messi in sicurezza, e dobbiamo farlo insieme.

Tratto dalla presentazione An Economic case for protecting the Planet, di Naoko Ishii alla TEDGlobal, New York City, settembre 2017.
Naoko Ishii è CEO del Global Environment Facility (GEF).