4 Luglio 2018

Oil&Gas in Italia: chi non cerca non trova

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Lo scorso 2 luglio, la Direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche (Dgs – Unmig) del Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato il rapporto annuale 2018, che fotografa il settore upstream degli idrocarburi italiano al 31 dicembre 2017.

Una fotografia a tinte fosche, che riflette lo stato di salute di un settore che è ben lontano dai fasti del Dopoguerra, quando rinvenire ed estrarre idrocarburi era ancora considerato sexy. Rispetto al 2016, la produzione annuale di gas naturale è calata del 6,05% per un ammontare pari a 5,66 miliardi di Smc, mentre, a sorpresa, la produzione di petrolio è aumentata del 10,47% toccando i 4,14 milioni di tonnellate. Un aumento inaspettato quanto poco significativo, più che altro ascrivibile alla ripresa della piena attività dei pozzi in Val d’Agri, e comunque limitato alla terraferma, con la produzione offshore che è calata di 60.000 tonnellate.

Il decremento generalizzato della produzione conferma l’andamento degli ultimi vent’anni, che ha visto una produzione di petrolio sostanzialmente stabile e una produzione di gas in fortissimo calo. Rispetto all’ultimo decennio la riduzione per il gas è stata nel 2017 del 41% e del 30% per il petrolio.

Produzione di gas (miliardi di Sm3). Serie storica anni 1997-2017

Fonte: Rapporto annuale 2018 (Dgs – Unmig)

La Basilicata continua ad essere la regione più petrolifera d’Italia con una produzione di 1.318,90 metri cubi di gas e 2.942,99 tonnellate di petrolio, seguita a grande distanza dalla Sicilia (197,35 mc di gas e 506,47 mil. tonn. di petrolio).

Ma se in Italia non si trova è perché non si cerca. Dal 2009, infatti, non si è esplorato neanche un metro nei fondali marini e anche le attività di perforazione a scopo esplorativo sulla terraferma hanno toccato livelli prossimi allo zero.

Metri perforati. Serie storica anni 1997-2017

Fonte: Rapporto annuale 2018 (Dgs – Unmig)

Se la produzione cala, però, calano anche le entrate dello Stato, che nel 2017 ha incassato il più basso livello di royalty dell’ultimo decennio, per un totale di €127,3 milioni (ripartiti tra Stato, Regioni, Comuni, fondo carburanti e aliquota ambiente e sicurezza) contro i €222,9 milioni dell’anno precedente.

L’unico dato controcorrente – ma di non poco conto – riguarda le riserve, che sono state rivalutate in positivo del 37,7% per quanto riguarda il gas e del 16,3% per il petrolio. Un dato certamente positivo ma di poca consolazione: agli attuali livelli di produzione ed esplorazione, infatti, le riserve di gas si esaurirebbero in meno di 8 anni e quelle di petrolio in circa 18 anni.

Che per le fonti fossili del nostro paese non tirasse una buona aria lo si era capito negli ultimi decenni: l’incremento smisurato di proteste e opposizioni locali sono sfociate dapprima in un dietrofront da parte degli enti territoriali, in un secondo momento in una marginalizzazione del settore nella politica energetica nazionale ed infine nel cosiddetto “referendum sulle trivelle” del 17 aprile 2016. Di conseguenza, si è osservata una fuga di capitali e di imprese straniere, sempre meno intenzionate ad investire in un comparto che, e i dati lo confermano, fatica a vedere una luce in fondo al tunnel.

Per le statistiche complete si rimanda al: rapporto completo


1 Commento
Ecco che cosa rischia l'Italia con il caos in Libia e Algeria su gas e petrolio – Startmag 

[…] Quarto: la produzione nazionale è essenziale. La nostra vulnerabilità, la vulnerabilità delle famiglie o delle imprese italiane, sarebbe di molto inferiore se – come avviene in ogni parte del mondo – si sfruttassero le risorse minerarie di cui disponiamo (le maggiori nell’Europa continentale) in grado – sulla base delle riserve accertate – di raddoppiare in breve tempo il livello di produzione (dimezzatosi nel recente passato) e di accrescerlo ancor più se fosse consentito di riprendere le ricerche azzeratasi da molto tempo. […]


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