È almeno dagli anni Sessanta che scienziati e climatologi avvertono i governi delle conseguenze della crescita senza tregua del consumo di fonti fossili. Negli anni Settanta e Ottanta, la crisi energetica e l’insicurezza degli approvvigionamenti di petrolio hanno anche dato manforte agli ambientalisti e ai fautori di un mondo popolato da tecnologie piccole e belle che faceva a meno delle fonti fossili. Ma è solo verso gli anni Novanta che qualcosa si muove sul piano politico con molto rumore e grande prestigio ma, in ultima analisi, pochi fatti concreti.
Nel 1988 viene istituito nell’ambito delle Nazioni Unite l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che dispone di circa 2.000 scienziati distribuiti in oltre 160 paesi con il compito di studiare i cambiamenti climatici, le cause, il contributo delle attività umane, e di trovare soluzioni per mitigare il fenomeno. A distanza di pochi anni, nel 1992, viene organizzato il Summit della Terra di Rio de Janeiro, evento con risonanza ambientale senza precedenti per dimensione e impatto, almeno in termini mediatici. Da qui nasce la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), il cui obiettivo dichiarato è «raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso da prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico». Pur non ponendo limiti legalmente vincolanti per le emissioni di gas serra, il Trattato prevedeva la possibilità che le parti firmatarie adottassero, in apposite Conferenze delle Parti (COP), dei «protocolli» che avrebbero potuto porre limiti obbligatori.
La COP si incontra con regolarità ogni anno dal 1995 in un posto diverso in giro per il mondo per verificare l’andamento dei gas serra e discutere i dettagli sul da farsi. Si tratta di un evento che in realtà implica non poco dispendio di gas serra. Tuttavia, a partire dalla metà degli anni 2000 spesso i paesi ospitanti si prodigano per contrastare l’aumento di gas serra con progetti a compensare una quantità equivalente di anidride carbonica emessa in atmosfera.
Il Protocollo Di Kyoto
Il Protocollo di Kyoto, redatto nel 1997, stabilisce livelli di riduzione di gas serra nel periodo 2008-2012 rispetto alle emissioni registrate nell’anno base 1990 e introduce i cosiddetti meccanismi flessibili tesi a facilitare i paesi nel raggiungimento degli obiettivi. L’Accordo individua tre categorie di paesi firmatari della UNFCCC: un primo gruppo di 40 paesi industrializzati e paesi ad economia in transizione che concordano nel ridurre le loro emissioni a livelli inferiori a quelle prodotte nel 1990; un secondo gruppo di 25 paesi industrializzati inclusi tra quelli del primo gruppo che si adoperano per fornire ai paesi in via di sviluppo i mezzi finanziari e l’assistenza tecnica necessaria per ridurre adeguatamente i loro livelli di emissione, se necessario facendo ricorso ai meccanismi di flessibilità; i rimanenti oltre 150 paesi in via di sviluppo che non hanno impegni di alcun tipo. È solo nel novembre del 2004 che vengono raggiunte le condizioni minime per la firma del Protocollo di Kyoto, che quindi entra in vigore il 16 febbraio 2005. Ma mancano solo tre anni all’inizio del primo periodo di attuazione del Protocollo!
L’emendamento Di Doha
Nel 2012, alla COP 18 di Doha, viene stilato un Emendamento che prolunga l’Accordo di altri 8 anni e impegna i paesi aderenti a ridurre le emissioni complessivamente del 18% entro il 2020. Tuttavia, diversi paesi tra cui Stati Uniti e Russia almeno provvisoriamente non sottoscrivono l’Accordo. Con quasi 200 delegazioni di Stati sovrani che mirano a inserire negli accordi condizioni disomogenee e spesso contrastanti, non può che risultare un testo largamente annacquato e privo di reale operatività.
Il post è un estratto dell’articolo L’irreale declino della ricerca e sviluppo nel settore energetico scritto da Oliviero Bernardini e pubblicato sul numero 2.18 di Energia
Oliviero Bernardini è esperto di mercati energetici e membro del Comitato Scientifico di Energia
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