2 Ottobre 2018

Rinnovabili: dirla tutta

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Non passa giorno che non esca uno studio sul prossimo trionfo sulle fonti fossili delle rinnovabili, eolico e solare in testa; sui benefici che ne deriveranno per il Pianeta (e per chi le produce); sui rischi per l’industria delle fossili (sino a 25mila miliardi dollari); sulla crisi che colpirebbe i paesi che ne controllano le riserve.

L’ultimo studio è del team di specialisti finanziari Carbon Tracker con un titolo, 2020 vision: why you should see peak fossil fuels coming, che dice tutto. Nel prossimo decennio, si sostiene, la domanda di fonti fossili conoscerà il suo picco (fase Peaking), crollerà nei due decenni successivi (Rapid Change) soppiantata dalle rinnovabili, sparirà nella seconda metà del secolo (Endgame!). Né più né meno, si afferma, a quel che accadde un secolo fa quando le auto sostituirono i cavalli.

Due i driver di questa parabola: le politiche climatiche degli Stati dopo-Parigi e gli sviluppi di tre tecnologie: solare, eolica, batterie con economie di scala che taglieranno i costi del 20% ad ogni raddoppio di capacità, riducendone parallelamente i prezzi. Conclusione e punto più importante: “these three technologies have now reached a level at which they can compete with fossil fuels without subsidies” (pag.10). In sintesi, solare ed eolico (di altre tecnologie non si fa cenno) saranno in grado di soddisfare tutti i bisogni finali di energia sostituendo le fossili a costi fortemente competitivi, indipendentemente dalla localizzazione degli impianti, dalle specifiche condizioni metereologiche (ventosità e solarità), dai loro tassi di utilizzo.

Se così stanno le cose, come consumatori non possiamo che esserne soddisfatti: perché significa che l’aumento della penetrazione delle rinnovabili (32% dei consumi finali al 2030) potrà avvenire anche in Europa a prezzi decrescenti e senza alcuna necessità di sussidi (diretti o indiretti). È indiscutibile che il crollo dei costi di produzione (capex e operativi) delle rinnovabili ne abbia accresciuto di molto la competitività. Ne sono controprova i prezzi spuntati nelle aste di diversi paesi. Xcel Energy in Colorado, riporta lo studio, ha ricevuto un’offerta per produrre eolico a 21 doll/MWh (contro prezzi dell’elettricità da fossili tra 50 e 150 dollari). Da qui, a sostenere che le rinnovabili siano in grado ovunque di camminare sulle loro gambe, senza ausilio alcuno, appare azzardato, anche a prescindere dai costi incrementali che comporta la loro penetrazione (adattamento reti distribuzione, interrompibilità, funzione back-up delle fonti tradizionali, etc.).

Dubbio che trova conferma in Europa nella flessione degli investimenti nelle rinnovabili, nelle difficoltà a rendere bancabili i progetti, nelle velate richieste di ridar fiato agli incentivi. Come accaduto recentemente nelle audizioni nel nostro Parlamento da parte delle associazioni di categoria sullo schema di decreto sugli incentivi alle rinnovabili, con la richiesta, non me ne vogliano, di una ventina di incentivi diretti/indiretti dal costo complessivo per altro non chiarito. Richieste formulate a fronte della necessità di ampliare enormemente la potenza rinnovabili da qui al 2030 per rispettare l’asticella del 32%. Nel solo fotovoltaico essa dovrebbe aumentare dai circa 20 GW attuali a 50 GW, con un aumento annuo di 2,7 GW contro i 0,5 GW realizzati mediamente nel periodo (post-incentivi) 2012-2018.

Al di là delle grandi e opinabili visioni sul futuro (‘vision’ sta nel titolo dello studio di Carbon Tracker), meglio sarebbe dirla tutta su come stanno effettivamente le cose, rifuggendo da ingiustificati entusiasmi che rischiano per ritorcersi contro le stesse rinnovabili. Come accaduto in Gran Bretagna, ove il Governo ha deciso di eliminare dal prossimo marzo i sussidi, così motivandolo: “Consumers should not be expected to support sectors indefinitely and that as costs fall, so too should support”.