19 Novembre 2018

Cosa insegnano i ‘gilet gialli’ francesi?

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Le violente proteste dei ‘gilet gialli’ francesi contro l’aumento dei prezzi dei carburanti deciso dal governo di Edouard Philippe dicono molto sullo scarto nella popolazione francese (ma non solo) tra il dichiararsi contro i cambiamenti climatici ed accettarne le misure per combatterli. Le proteste sono scaturite nei territori agricoli ma a dire dei sondaggi godono del sostegno del 74% della popolazione. Eppure, il gasolio aumenterà di (appena) 6,5 cent €/lt e la benzina di 2,9 cent €/lt portando il prezzo medio a circa 1,53 €/lt. Prezzi comunque inferiori, e di non poco, a quelli medi italiani: 1,63 €/lt per la benzina e 1,55 €/lt per il gasolio (dati al 15 novembre, Staffetta Quotidiana).

Dichiararsi contro i cambiamenti climatici è una cosa, accettarne le misure per combatterli un’altra.

A fine agosto il Ministro francese per la ‘Transizione ecologica e solidale’ si dimise perché non aveva più intenzione di ‘mentire a sé stesso’, non essendo riuscito ad adottare misure significative, a partire dal rinvio della riduzione del nucleare nella generazione elettrica. Fu sostituito da Francois de Rugy, Presidente del Parlamento francese e a lungo membro del partito ‘Europe ècologie – Les Verts’, moderato ma comunque desideroso di agire. Da qui, la decisione del governo, col sostegno del Presidente Emmanuel Macron, di aumentare la carbon tax, denominata, ‘Contribution Climat Energie’ (CCE), nella complessiva ‘Taxe interieure de consommation sur le produit energetique’ (TICPE). La tassa sul carbonio fu introdotta nel 2014 – Presidente Francois Hollande, Ministro dell’ambiente Segolene Royal – e da allora è aumentata di oltre 6 volte, da 7 a 44,6 €/tonn CO2, con la previsione di portarla a 55 € nel 2019 sino a 100 nel 2030.

Attualmente la TICPE è pari a 0,94 euro/litro (di cui fa parte la CCE per il 63%) su un prezzo finale medio intorno a 1,50 €/lt Prezzo grosso modo simile tra benzina e gasolio, per la decisione del governo francese di ridurre gli sgravi fiscali a favore delle auto diesel, motivato dai loro presunti danni ambientali e dal prossimo avvento dell’auto elettrica. Motivazioni entrambe inconsistenti.

Il gasolio in Francia aumenterà di (appena) 6,5 cent €/lt e la benzina di 2,9 cent €/lt, portando il prezzo medio a circa 1,53 €/lt: prezzi comunque di non poco inferiori a quelli medi italiani.

Cosa insegna la protesta dei gilets jaunes? Più cose. Primo: “la transizione energetica come ogni altra rivoluzione, perché di questo si tratta – scrivevo oltre un anno fa nel mio ‘Energia e Clima’ (pag. 32) – attraverserà in modo diseguale le varie componenti economico-sociali interne ad ogni paese […]. Si avranno vincitori e vinti nella distribuzione dei costi e dei benefici – tra imprese, industrie, lavoratori, consumatori, contribuenti – con tensioni politiche e sociali”. Come va accadendo e sempre più accadrà.

Secondo: la benzina o il gasolio sono un bene essenziale per una larga parte della popolazione, specie quella pendolare che ogni giorni deve andare a lavorare o studiare. In Italia ammonta a 29 milioni di persone. La maggior parte usa l’automobile. Questo accade anche in Francia, nonostante la maggior efficienza del suo sistema ferroviario. Da qui la rabbia dei ‘rurali contro i parigini con il metrò sotto casa’. I cittadini/consumatori non fanno poi solo il pieno, ma usano l’elettricità o il metano, i cui prezzi in Italia stanno diventando sempre più insopportabili per milioni di famiglie.

L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia è un’economia percepita come punitiva e perciò stesso respinta.

Terzo: l’accettabilità sociale della transizione energetica diminuisce con l’intensificarsi delle misure per realizzarla. Non solo prezzi, ma anche restrizioni, proibizioni, sanzioni. Sarà allora interessante vedere, ad esempio, come reagiranno i 2,2 milioni di parigini al Piano ambientale approvato lo scorso anno dal loro sindaco Anne Hidalgo dal suggestivo nome Paris change d’ère. Vers la neutralité carbone en 2050 che mira a ridurre le emissioni clima-alteranti del 50% al 2030 e dell’80% al 2050 in larga parte con una miriade di misure coercitive.

Ne riportiamo le principali:

  • limitare l’aumento degli abitanti nel 2030 a non più di 160.000 (come?);
  • dimezzare le 600 mila vetture in circolazione (chi e come deciderà?), che dovranno avere dal 2030 almeno 1,8 (sic!) occupanti (idem);
  • aumentare in ogni modo i ‘costi di utilizzazione delle autovetture’;
  • eliminare i parcheggi;
  • incoraggiare l’andare a piedi o in bici;
  • puntare a un’“alimentazione meno carnosa” col divieto di distribuire la carne due giorni la settimana;
  • “orientare più massicciamente le scelte dei parigini verso regimi alimentari plus durables” (?);
  • bloccare la circolazione nei week-end organizzando grandi feste popolari per le strade.

Il tutto, mirando a “conquistare i cuori e gli spiriti” dei parigini e a “nutrirne l’immaginario […] mutualizzando gli acquisti o sincronizzando le decisioni”. Non so quanti dei circa 34 milioni di turisti che visitano annualmente Parigi o gli stessi parigini gradiranno queste restrizioni dei gradi di libertà individuale. Rivoluzionare dall’alto economie e modi di vivere richiederebbe rigidi sistemi di pianificazione scarsamente accettabili dalle società moderne. L’economia dei divieti e della burocrazia realizzata col pretesto dell’ecologia è un’economia percepita come punitiva e perciò stesso respinta. I gilets jaunes anche questo insegnano.