9 Febbraio 2018

Il fallimento della COP 23

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Il risultato della COP di Bonn è stato purtroppo assai modesto. La Conferenza avrebbe dovuto iniziare a scrivere il rulebook per valutare l’aderenza dei paesi ai target volontariamente dichiarati a Parigi.

Non era un compito gravoso: la natura procedurale e tecnica della conferenza ne favoriva l’esito. Malauguratamente, i fatti sono andati in direzione opposta.

La contrapposizione tra paesi emergenti – fautori dell’opportunità di valutare anche le azioni di policy antecedenti al 2020 – e paesi ricchi ha bloccato la Conferenza a lungo e, più in generale, ha generato un clima negativo per la cooperazione. Ma soprattutto, la COP 23 ha riproposto la questione annosa della governance della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), che ormai da oltre un ventennio pretende che un’assemblea di quasi 200 paesi si esprima in merito a questioni che hanno un contenuto tecnico.

La COP 23 avrebbe inoltre dovuto fare un bilancio di ciò che i paesi stanno facendo (global stock take), ma non essendo in grado di farlo ha avviato un processo che, già dalla prossima COP 24 di Katowice (Polonia), getterà luce sulla questione. Tale processo è stato chiamato “Dialogo di Talanoa”, laddove l’espressione si rifà a una parola delle isole Fiji – Paese che presiedeva la COP – che potrebbe essere definita ‘dialogo con il cuore’. E quali sono i contenuti che questo processo dovrebbe chiarire?

Tre punti: dove siamo, dove vogliamo andare e come ci andiamo. È straordinario come la Conferenza delle Parti, di fronte alla propria inefficienza, compia acrobatici esercizi di diplomazia sfocianti in una vacuità – anche espressiva – che riporta al punto di partenza. Il cammino della discussione, interna alla conferenza, è un cerchio, e come in un cerchio la fine è anche l’inizio, l’arrivo è punto di partenza.

Al di là della riaffermazione del target relativo al trasferimento di 100 mld. doll. annui dai paesi ricchi a quelli poveri per azioni contro il cambiamento climatico e dell’inclusione del Fondo di adattamento previsto dal Protocollo di Kyoto all’interno dell’Accordo di Parigi, Bonn non ha prodotto altro di rilevante. Piuttosto ha scaricato sulla COP 24 l’onere di decisioni che non è stata in grado di prendere.


Il post presenta l’editoriale Parigi due anni dopo: alcune riflessioni sulla transizione energetica scritto da Enzo Di Giulio e pubblicato nel numero 4.17 di Energia

Enzo Di Giulio insegna Economia Ambientale all’Eni Corporate University ed è membro del Comitato Scientifico di Energia


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