Non passa giorno che non sia pubblicato un nuovo voluminoso rapporto sulla possibilità di percorrere con successo, quasi bastasse volerlo, la via che da Parigi porterà nel giro di due-tre decenni alla piena decarbonizzazione dei sistemi energetici e delle economie.
Lo consentiranno, vi si legge, le dinamiche nelle tecnologie rinnovabili, nella mobilità elettrica, nell’economia circolare e tutte in le altre grandi ondate innovative che vanno ridisegnando la nostra società. Il fil rouge è che le cose stanno andando bene, nella direzione giusta, così da giustificare sentimenti di grande ottimismo.
Molto vien detto su queste potenzialità, su come cambierà l’aritmetica dell’energia, sul declino delle fonti fossili, in un caleidoscopio di scenari in cui è difficile raccapezzarsi, ma tutti volgenti al meglio. Poco o niente viene invece detto sulle condizioni necessarie al loro avverarsi. Saranno i mercati a consentirlo o necessitano politiche pubbliche a loro correzione? E chi pagherà il conto: gli Stati, le imprese, la collettività, i consumatori? Domande inevase.
Poi capita di imbattersi in un’ennesima Comunicazione della Commissione europea sulla “finanza per una crescita sostenibile” per veder confermati, in negativo, i nostri interrogativi. A pag. 2 si legge infatti che per raggiungere gli obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi e nell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite mancano all’appello, da qui al 2030, dai 180 ai 270 miliardi di euro all’anno: per un totale compreso tra 2.169 e 3.240 miliardi di euro.
Grandezze che fanno svanire gli alimentati sentimenti di ottimismo. Molto meglio e intellettualmente più onesto, per le sorti del Pianeta, è dire le cose come stanno.
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