Dal 1970 sotto l’egida delle Nazioni Unite si celebra il 22 aprile l’Earth Day, la Giornata della Terra, in cui miliardi di cittadini del Pianeta ne promuovono la salvaguardia.
Tra le tante ‘giornate mondiali’, in media una ogni tre giorni, per lo più ignote agli stessi destinatari (alimentazione, meteorologia, jazz, financo i genitori), quella sulla Terra ha una valenza del tutto particolare e sarebbe importante costituisse non solo un momento di riflessione non retorica, ma l’opportunità per avanzare, su scala globale, ide, progetti, azioni.
Tra i molti appelli che si vanno avanzando da associazioni, organismi, quanti altri impegnati sulle tematiche ambientali, di particolare forza è quello del Worldwatch Institute sui danni provocati dall’inquinamento da plastiche. I dati parlano da soli: il 50% della plastica è utilizzata una sola volta per essere gettata; ogni anno la sola America getta 35 miliardi di bottiglie di plastica, nel mondo 500 miliardi di sacchetti usa e getta.
La fondazione olandese Ocean Cleanup ha fotografato la grande isola di plastica che si è andata formando nell’Oceano Pacifico – a metà strada tra due zone turistiche come California e Hawaii – quantificandola come estensione in tre volte l’intera Francia.
Che gli Stati non siano riusciti ad aggredirla così che si è andata espandendo esponenzialmente, dà conto del grande scarto che corre tra il loro dirsi sensibili alle sorti del Pianeta, come avvenuto a Parigi nel dicembre 2015, e il poco o nulla che stanno facendo. Da qui l’auspicio che il 22 aprile 2018 sia davvero il Giorno della Terra segnando una svolta collettiva per spingere gli Stati a rimediarvi.
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