I negoziatori europei hanno raggiunto nei giorni scorsi un compromesso informale – che dovrà essere approvato da Consiglio Europeo e Parlamento – per innalzare l’asticella degli obiettivi al 2030 di due tasselli essenziali della ‘clean energy strategy’ proposta dalla Commissione nel novembre 2016: portandola al 32% (vincolante) per le rinnovabili (dal 27%) e al 32,5% (non vincolante) per l’efficienza energetica (dal 20% del 2020, con possibilità di rivederla al rialzo nel 2023).
Non ho contezza che questi aumenti, frutto di un compromesso tutto politico, siano derivati o siano stati sottoposti a un serio vaglio costi/benefici riguardo la loro effettiva perseguibilità e gli impatti che ne deriveranno sulle altre fonti di energia e quindi sulla coerenza complessiva della strategia energetica.
Commentando con toni trionfalistici il compromesso raggiunto, il Commissario per l’Azione Climatica e l’Energia Miguel Arias Canete ha dichiarato che: “L’Europa è attualmente il più grande importatore di fonti fossili nel mondo. Oggi abbiamo posto fine a questo”. Affermazione del tutto inverosimile considerando che l’import di fonti fossili ammonta a 959 mil. tep, pari al 43% dei consumi totali di energia. “L’accordo – ha proseguito – darà un contributo sostanziale all’indipendenza energetica dell’Europa. Molto di quel che risparmieremo sulle importazioni sarà investito nell’efficienza degli edifici, delle industrie, dei trasporti. Il nuovo target del 32,5% aumenterà la competitività delle industrie, creerà occupazione, ridurrà le bollette energetiche, aiuterà a superare la povertà energetica e migliorare la qualità dell’aria”.
Considerando che circa il 70% dei consumi di petrolio è destinato al settore dei trasporti – difficilmente comprimibile in tempi brevi nei consumi e importazioni – ne deriva che il gran risparmio negli acquisti dall’estero dovrebbe avvenire nel settore del carbone (104 mil. tep nel 2017) e soprattutto del metano (300 mil. tep).
E questo è il punto. Se infatti all’impatto sul sistema metano (domanda e importazioni) del maggior risparmio energetico si aggiunge quello del maggior contributo delle rinnovabili ne derivano mutamenti molto sostanziali negli scenari europei del metano, aggiungendo incertezza a incertezza. E’ pur vero che esso dovrebbe rimpiazzare parte del previsto phase-out del carbone e del nucleare (specie in Germania), ma è altrettanto vero che le sue prospettive potrebbero farsi poco rosee se non negative.
Negli stessi giorni delle decisioni di Bruxelles è uscito infatti un nuovo rapporto dell’Agenzia di Parigi che, pur non tenendone conto, prevede un profilo della domanda europea di metano nel prossimo quinquennio, al 2023, in leggero calo – a fronte di una crescita del 10% di quella mondiale – per poi stabilizzarsi (2016—2040: +0,3% m.a.), stando almeno al recente Global Gas Report 2018 di Snam-Boston Consulting Group.
Dinamiche che non potrebbero che risentire al ribasso del binomio più risparmio/più rinnovabili. Un’incertezza che pone seri problemi all’industria metanifera per le decisioni che a breve dovrebbe assumere riguardo, da un lato, la scadenza dei contratti di importazione e, dall’altro lato, la realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto già oggi scarsamente utilizzate.
Se le previsioni della Commissione dovessero dimostrarsi corrette degli uni e delle altre se ne potrebbe in parte fare a meno, pur considerando la necessità di accrescere le importazioni per il calo della produzione interna. Se così non fosse – come è verosimile pensare viste le errate previsioni della Commissione – potremmo pentircene amaramente, al di là dei suoi illusori entusiasmi.
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