Nonostante la pesante pressione europea, l’8 maggio scorso il Presidente Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action, ovvero dall’accordo sul nucleare iraniano.
Due settimane dopo, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha promesso sanzioni economiche contro Teheran «senza precedenti», mentre il Dipartimento del Tesoro statunitense ha annunciato piani per applicare «sanzioni secondarie» che potrebbero coinvolgere compagnie europee e internazionali. A quelle operative in Iran, l’Amministrazione Trump ha concesso un periodo di 180 giorni per ridurre gradualmente la loro attività prima che le sanzioni vengano applicate.
Secondo Washington, le sanzioni ridurranno drasticamente le vendite di petrolio dall’Iran, che nel 2018 è il quinto maggior produttore petrolifero mondiale. Tali cambiamenti nella politica americana avranno significative conseguenze economiche e strategiche non solo in Iran, ma anche in Europa e nel mondo intero.
All’annuncio di Trump, Federica Mogherini, Alto Rappresentante degli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea, e alcuni altri leader europei hanno confermato la loro determinazione a mantenere vivo l’accordo nucleare, iniziando a negoziare i prossimi passi con le controparti iraniane.
In risposta a queste dinamiche, i prezzi del petrolio sono aumentati a livelli mai visti dalla fine del 2014, oltre 80 doll./bbl dal 17 maggio. Quel che suggerisce che il mercato internazionale si attende un congelamento o una sostanziale riduzione delle esportazioni di Teheran.
Il post presenta l’editoriale Il futuro del petrolio iraniano alla luce del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare scritto da Gawdat Bahgat e pubblicato sul numero 2.18 di Energia
Gawdat Bahgat insegna National Security Affairs alla National Defense University
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login