Una decina di anni fa scrissi per “Energia” alcuni articoli sulla regolamentazione dell’industria dell’automobile. All’epoca regnava grande incertezza su quale sarebbe stata la filiera che si sarebbe posta in concorrenza ai derivati del petrolio nel trasporto su gomma tra idrogeno, biocarburanti ed elettricità.
Ma era evidente che molto sarebbe dipeso dalla capacità di superare il cosiddetto «chicken and egg problem» in presenza del quale le case automobilistiche non mettevano in produzione veicoli con alimentazioni alternative per la mancanza di un’adeguata infrastruttura di rifornimento. E una filiera di rifornimento alternativa non si sviluppava nell’attesa di una flotta di veicoli sufficiente a giustificare gli investimenti necessari.
Ora pare che l’alternativa sia stata trovata e sia elettrica. Restano molte incertezze sui tempi della transizione tra annunci che si susseguono da parte degli Stati e delle case automobilistiche di futuri blocchi alle vendite di auto a benzina e gasolio, da un lato, e di piani pluriennali per lo sviluppo di nuovi modelli elettrici, dall’altro.
Intanto dagli Stati Uniti arrivano notizie molto interessanti sulle infrastrutture di ricarica. Lo Stato della California è in prima linea e sta seguendo un approccio che dovrebbe essere oggetto di analisi approfondite. Secondo uno studio della Energy Commission, la California dovrà installare entro il 2025 un numero di punti di ricarica “collettivi” compreso tra 229.000 e 279.000 per centrare i suoi obiettivi di diffusione di veicoli a emissioni zero. La Public Utilities Commission locale ha già approvato una serie di progetti presentati dalle utilities locali per un investimento complessivo di 738 milioni di dollari. Questo approccio implica che: “the cost of the investments will likely fall to ratepayers in the form of monthly rate increases”.
E’ corretto fare pagare in bolletta questi costi a tutti gli utenti allacciati alla rete elettrica, e non solo a quelli che utilizzeranno i punti di ricarica, tenendo anche conto del fatto che nei progetti delle utilities i punti di ricarica saranno giustamente concentrati nelle aree dove è prevista la maggiore densità di auto elettriche?
La ragione ufficiale per imputare all’universo delle utenze questi investimenti è che essi favorirebbero un assetto delle reti di distribuzione adatto alla demand response e agli stoccaggi, a cui i veicoli elettrici darebbero un contributo fondamentale, con benefici per l’intero sistema elettrico e tutte le sue utenze. Nello studio della Energy Commission, il picco di richiesta atteso nel 2025 per la ricarica dei veicoli elettrici si collocherebbe alle 9 della mattina, dopo l’arrivo al lavoro (200 MW) e verso le otto di sera, al rientro serale (900 MW). Sono volumi limitati e non sappiamo quanto coincidenti con uno stato di criticità del sistema.
E’ evidente che per spostare questi prelievi in funzione delle criticità e ottenere benefici per l’intero sistema elettrico saranno necessarie condizioni di fornitura innovative pensate più per premiare la flessibilità potenziale delle batterie che per penalizzare la rigidità dei comportamenti d’uso. Anche per questa ragione, oltre che per incentivare l’acquisto di auto elettriche, molti suggeriscono di offrire le forniture di ricarica a condizioni particolarmente “vantaggiose” basandole sui soli costi marginali di produzione dell’energia elettrica. Ovvio che poi i costi fissi delle centrali dovrebbero essere allocati su altre tipologie di fornitura.
Siamo evidentemente distanti dai Principles of Public Utility Rates di James Bonbright in materia di efficienza statica, dinamica e allocativa delle tariffe. E questo senza valutare gli effetti distorsivi della concorrenza tra la nuova filiera di rifornimento “elettrica” e la vecchia filiera “fossile”. Tuttavia, se si vuole davvero realizzare una rapida transizione all’auto elettrica questi scostamenti dai principi di efficienza e di concorrenza appaiono un prezzo inevitabile da pagare.
Approfitto del tema sull’auto elettrica per lanciare agli esperti della Rivista alcune provocazioni a cui non ho ancora trovato una risposta che mi soddisfi!
A- la soluzione della mobilità elettrica è stata attentamente valutata come la migliore alternativa in logica LCA rispetto ad altre disponibili? Ho visto studi di GRDF e NGVA (magari non totalmente imparziali?) che concludevano a favore del “metano verde”. E in chiave di dipendenza economica? Superiamo il gas per non dipendere dai russi per poi finire per dipendere dai cinesi per il nickel?
B- la vera decaronizzazione deve tenere in considerazione anche il gas verde, altrimenti i conti e gli obiettivi ambiziosi non tornano. Se va tenuto uno spazio per il gas, ma la mobilità la immaginiamo elettrica (e l’effetto delle economie di rete fa sì che una sola tecnologia si affermerà) siamo disposti a lasciare al Green Gas le applicazioni del calore civile?
C- una mobilità privata a biometano avrebbe potuto coniugare:
– decarbonizzazione,
– recupero di energia dalle FORSU,
– indipendenza nell’approvvigionamento delle materie prime,
– più facile riconversione della rete carburanti
– sostegno a filiera industriale più europea (sicuramente più italiana dell’auto elettrica)
– diversificazione dei vettori energetici