Che i cambiamenti climatici siano in atto è un dato di fatto, così come lo è che si stia facendo troppo poco per contrastarli, come certificato dall’aumento delle emissioni clima-alteranti nello scorso biennio. Le cose non stanno andando come promesso a Parigi nel dicembre 2015 dal mondo intero. Specie da parte dei paesi ricchi che – al di là della retorica che ammanta i loro vertici – non stanno dando seguito agli impegni che avevano sottoscritto.
“Climate change is no longer a pre-eminent policy issue”, tuona il Wall Street Journal.
La cosa è tanto più incredibile – ma il termine forse più appropriato è vergognosa – perché a soffrirne sono soprattutto i paesi poveri cui quelli ricchi si erano impegnati – sin dalla Conferenza delle parti del 2009 a Copenhagen, con conferma in quella di Parigi – di devolvere ogni anno almeno 100 miliardi di dollari.
Ebbene, nella fallimentare pur se acclamata COP23 di Bonn dell’autunno scorso, si è saputo che l’esborso è stato di appena 10,3 miliardi di dollari. Sostenere i paesi poveri sarebbe invece fondamentale nella lotta globale ai cambiamenti climatici: perché del tutto privi di risorse finanziarie, tecnologiche, industriali; perché il degrado ambientale in quei paesi, causato soprattutto da deforestazione e desertificazione, colpisce non solo loro ma l’intero eco-sistema mondiale. Ma ancor prima perché quei paesi sono i primi a soffrire del surriscaldamento globale pur essendo i meno responsabili della concentrazione in atmosfera dell’anidride carbonica.
Prolungate siccità, ondate di calore e sempre più frequenti tempeste di sabbia affliggono – e sempre più affliggeranno – l’intero Medio Oriente e l’Africa.
Ed è quel che sta accadendo da anni, esasperando conflitti, come quello siriano; migrazioni specie verso l’Europa; ulteriore povertà. L’Istituto di Magonza prevede che le temperature potrebbero aumentare in quelle aree di due volte rispetto alle medie globali. Un futuro ormai prossimo. Lo scorso anno in Iran si è toccata la temperatura più elevata della sua storia di 54°C, raggiunta nel Kuwait l’anno prima. Gli effetti della siccità tracimano inevitabilmente sulla scarsità d’acqua acuendo i conflitti tra paesi per accaparrarsi le poche risorse disponibili a danno dei vicini. I bacini del Tigri ed Eufrate hanno perso 144 chilometri cubici di acqua dal 2003 al 2010. La costruzione in Etiopia della Grand Ethiopian Renaissance Dam Project, la maxi diga della lunghezza di 1.800 metri per imbrigliare il Nilo Azzurro e produrre energia elettrica, avrà un devastante impatto in Egitto perché ridurrà il limo che deriva dalle sue esondazioni e che da millenni assicura una fiorente agricoltura in zone desertiche. Una situazione che non potrà che peggiorare considerando che già oggi il Nilo sfocia ormai secco nel Mediterraneo.
Il drammatico elenco di quel che va accadendo e che ancor più accadrà nel mondo povero a causa dei cambiamenti climatici parla da solo, anche se non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere. Ma forse è meglio parlar di stupidità che, secondo la definizione aurea di Carlo M. Cipolla, è riferibile (terza legge), a “chi causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo un danno”.
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