L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che, nel 2014, i morti da cambiamento climatico sono stati oltre 250.000. L’attentato terroristico di Parigi del 2015 causò la morte di 137 persone.
A dicembre dello stesso anno, sempre a Parigi, la Conferenza delle Parti discuteva i principi di quell’accordo che, appunto, fa riferimento alle misure per contrastare il cambiamento climatico.
Le perdite umane per attentati terroristici ogni anno sono circa 30.000, un valore di molto inferiore al numero delle vittime del cambiamento climatico. Eppure, cosa suscita più emozioni: l’effetto di un attentato terroristico o i morti, invisibili, associati al global warming?
È difficile collegare una morte al cambiamento climatico, mentre l’associazione è quasi immediata nel caso di un attacco terroristico o di un’ondata di calore estiva. Si tratta di una distorsione in virtù della quale valutiamo erroneamente come rappresentativo un fenomeno, assegnandogli una maggiore probabilità, semplicemente poiché richiama maggiormente la nostra attenzione.
L’applicazione della teoria comportamentale alla questione climatica offre una prospettiva analitica diversa, aiutando ad evidenziare i difetti percettivi che, come in questo caso, insistono sul problema ambientale.
I confronti e le norme sociali, gli elementi del contesto informativo in cui prendiamo le nostre decisioni, sono elementi che possono favorire una scelta più consapevole e, in ultima istanza, un comportamento più attivo, anche nei confronti dell’ambiente.
Il post presenta l’articolo Scienze comportamentali ed energia scritto da Luciano Canova e pubblicato sul numero 1.18 di Energia
Luciano Canova insegna Behavioural Economics all’Eni Corporate University
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