Sempre più spesso si sente parlare di transizione energetica, anche se la diffusione e la semplificazione del concetto rischiano di complicare la comprensione della questione del cambiamento climatico. Da dove origina l’equivoco?
Il concetto di «transizioni energetiche» – al plurale, non è un errore – era già comparso dopo le crisi petrolifere degli anni Settanta, ma è stato subito accantonato a causa del successivo contro-shock. Torna in uso invece negli anni 2000, in parte per la risalita del prezzo del petrolio, in parte per la presa di coscienza della questione climatica.
L’espressione si declina al plurale perché può indicare strategie molto diverse.
Negli Stati Uniti, ad esempio, la transizione energetica è orientata a ridurre la dipendenza dalle importazioni di idrocarburi e a sfruttare su grande scala petrolio e gas di scisti, implicando quindi un maggior consumo di fonti fossili. Per i Rentier States mediorientali indica la ricerca di una prosperità economica indipendente dalla vendita di petrolio, e presuppone quindi la diversificazione del mix energetico e l’apertura alle rinnovabili. Nei i paesi emergenti, invece, la transizione energetica significa scelta di fonti energetiche a sostegno della crescita a pieno regime delle relative economie, e generalmente passa per il carbone.
In Europa il concetto giustifica – sulla carta – politiche finalizzate simultaneamente alla riduzione delle emissioni di gas serra, alla promozione delle rinnovabili e al miglioramento dell’efficienza energetica. Ma appena sotto la superficie si nascondono strategie nazionali più disparate. Un esempio? In nome della transizione energetica la Germania abbandona il nucleare, il Regno Unito cerca di ritornarvi, la Polonia vuole entrarvi, mentre la Francia si interroga su come diluirne il peso.
Ecco allora che, dal punto di vista climatico, la malleabilità del concetto di transizione energetica è dannosa, perché non sempre indica un percorso di decarbonizzazione. Anche guardando alla storia delle transizioni energetiche, nessuna delle quattro trasformazioni contiene un riferimento al clima.
La prossima transizione energetica – quella low carbon – ha poco in comune con le precedenti rivoluzioni, perché è chiamata ad affrontare per prima una duplice sfida: invertire la dinamica di accumulazione secolare delle fonti primarie e farlo nei tempi imposti dall’orologio climatico.
Il post presenta l’articolo La transizione energetica scandita dall’orologio climatico scritto da Christian de Perthius e Boris Solier e pubblicato sul numero 2.18 di Energia. Una versione francese dello stesso articolo è stata anche pubblicata sull’Écyclopédie de l’Énergie con il titolo La transition énergétique, un enjeu majeur pour la planète
Christian de Perthius insegna Economia all’Università Paris-Dauphine ed è fondatore della Chaire Economie du Climat, Boris Solier è Maître de Conférences in Economia all’Università di Montpellier e corresponsabile del polo di ricerca sulla transizione energetica della Chaire Economie du Climat
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