22 Agosto 2018

Losing the war?

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A dicembre si terrà a Katowice in Polonia la 24a Conferenza delle Parti (COP), dopo i deludenti flop della COP 22 di Marakesh (2016) e della COP 23 di Bonn (2017), con la partecipazione in entrambi i casi di oltre 20.000 delegati.

Dai lavori preparatori della nuova Conferenza non è ancora emerso alcun dettaglio. Il nodo centrale resta la stesura del rulebook, il set di regole per la valutazione e il monitoraggio delle azioni dei governi, che contrappone i paesi sviluppati ai paesi emergenti sulla possibilità di stabilire misure eguali o differenziate per soddisfare i Nationally Determined Contributions (NDCs). Non vi è quindi da attendersi gran che al di là delle foto e della retorica di rito. Deprime anche il titolo della copertina dell’Economist del 4 agosto: “In the line of fire – losing the war against climat e change” a commento dell’estate torrida che ha causato diciotto incendi in California, con l’evacuazione decine di migliaia di persone, o quello ancor più grave di Atene, che è costato la vita a novantuno persone.

Anziché riflettere sulle ragioni del peggioramento di tutti i parametri climatici (consumi di energia, dominio di fonti fossili, aumento di emissioni) e dell’insufficienza delle politiche pubbliche, in Europa è iniziata la gara a chi la spara più grossa. A dire del Commissario per l’Azione Climatica e l’Energia, Miguel Arias Cañete, l’Unione dovrebbe infatti aumentare il suo target di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 (rispetto al 1990) dal 40% sinora fissato al 45%. A giugno quattordici Stati membri – tra cui Francia, Germania, Paesi Bassi – hanno evidenziato alla Commissione che l’attuale obiettivo è troppo timido proponendo di innalzarlo al 55%. Come raggiungerlo? E a spese di chi? Purtroppo non viene fornita alcuna indicazione a riguardo, mentre sono stati presentati con chiarezza i costi di tale operazione.

Secondo Cañete, infatti, per raggiungere il target del 45% necessiterebbero investimenti pubblici e privati di ben 379 mld. euro ogni anno tra 2021 e 2030, cioè 3.790 miliardi nel decennio. Ben oltre quelli correnti. Sulla parte privata non vi è da farsi grandi illusioni se si pensa che nel 2017 ha investito nella ‘clean energy’ appena 67,4 mld. doll (58 mld. euro), in calo del 13,3% sul 2016. Ancor peggio stanno le cose per la parte pubblica. Basta scorrere le leggi finanziarie degli Stati membri per rendersene conto. Così che a pagare, in un caso e nell’altro, sono i consumatori cui viene addossato (anticipatamente) ogni euro di investimenti.

Quanto alla distribuzione degli investimenti tra le diverse fonti, due dati rendono conto di come le cose siano lontane da quel che la retorica mainstream sostiene. Il primo è che nel 2017 a livello mondiale – secondo l’Agenzia di Parigi – per la prima volta gli investimenti nelle rinnovabili hanno registrato un declino nel 2017 a 318 mld. doll, declino che è previsto perdurare anche nel 2018. La caduta principale si è avuta in Europa e specie in Germania e Gran Bretagna ritenute le ’più verdi del reame’. Simmetricamente per la prima volta dal 2014 gli investimenti nelle fonti fossili sono aumentati a 790 mld. doll., oltre due volte gli investimenti nelle rinnovabili L’opposto di quel che si vuol dare ad intendere.

A Katowice si assisterà, in presenza di migliaia e migliaia di delegati, all’ennesima fiera delle vanità: con annunci, impegni, obiettivi che – stando al dopo-Parigi – raramente verranno rispettati, con uno scarto tra promesse e fatti definito “catastrofico” dall’UNEP nel 2017.
Così che il ‘losing the war’ diverrà sempre più vero.


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