20 Settembre 2018

Breve storia del nucleare in Italia: l’esordio

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L’Italia agli inizi degli anni Settanta aveva tre piccole centrali nucleari in funzione – Garigliano (BWR da 150 MW), Latina (gas/grafite da 216 MW), Trino Vercellese (PWR da 270 MW) – e cominciava a costruire una centrale BWR da 850 MW a Caorso (PC), che sarebbe diventata operativa nel 1981.

Questa storia ce la racconta Giorgio Nebbia, che su Energia 1.18 riporta le sue impressioni sul libro di Andrea Candela, un’attenta e critica ricostruzione dei principali eventi della contestazione delle centrali nucleari in Italia.

I dubbi sulle centrali nucleari circolavano fin dagli anni Settanta, in quella che è stata definita la primavera dell’ecologia, e riguardavano la sicurezza dei reattori, l’inquinamento dovuto a emissioni di elementi radioattivi, le alterazioni ambientali, l’inevitabile formazione di residui ad alta radioattività da tenere isolati ‘per 200.000 anni’ da esseri viventi e dalle acque.

Ma la lunga serie di aumenti del prezzo del petrolio, a partire dall’ottobre 1973, indusse il governo a condurre delle indagini sulla possibilità di ottenere elettricità senza dipendere da questa fonte di energia.

Fu così redatto il primo Piano Energetico Nazionale (PEN), approvato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) il 23 dicembre 1975, che prevedeva la costruzione di varie centrali nucleari. La loro localizzazione invece sarebbe stata fissata dalla Legge 393, approvata il 2 agosto 1975.

Già il progetto di installazione di due unità da 1.000 MW ciascuna vicino Termoli in Molise destò, dal 1976 al 1978, una lunga protesta per imprevedibili effetti ambientali negativi, per la vicinanza di importanti strade di comunicazione. Finì rapidamente nel nulla anche la proposta di installare, nel 1976, a San Pietro Vernotico (BR), un grande impianto di arricchimento dell’uranio, alimentata da quattro centrali nucleari da 1.000 MW ciascuna.

Si erano intanto messe in moto, superando peraltro dure opposizioni, le procedure per la localizzazione e costruzione della centrale da 2.000 MW di Montalto di Castro, prevista dal primo PEN. Le successive centrali avrebbero dovuto essere localizzate in Lombardia, nel Mantovano, fra Torre d’Oglio, Viadana o San Benedetto Po, e nel Pavese fra Sartirana di Lomellina e Monticelli Pavese.

Nei primi mesi del 1977 cominciarono le proteste nel Mantovano, e nel dicembre 1977, dopo un acceso dibattito parlamentare, il governo preparò un nuovo PEN (il secondo) che venne approvato dal CIPE il 3 dicembre 1977, con un ridimensionamento del programma nucleare. Il nulla osta e l’autorizzazione alla costruzione della centrale di Montalto di Castro furono rilasciate dal governo con un decreto del 19 febbraio 1979, alla vigilia di eventi tempestosi.

Il 28 marzo 1979 si verificò un grave incidente al reattore nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania, negli Stati Uniti; non morì nessuno ma la favola della sicurezza delle centrali nucleari venne ancora più messa in discussione e il 19 maggio 1979 si svolse una grande marcia antinucleare a Roma.

Il governo italiano ordinò quindi un’indagine sulla sicurezza nucleare; fu nominata una commissione, presieduta dal Prof. Salvetti, che lavorò dal settembre al dicembre 1979 e produsse un documento abbastanza tranquillizzante sulla sicurezza delle centrali nucleari italiane, ma che fu approvato soltanto a maggioranza.

La relazione finale della Commissione Salvetti fu discussa pubblicamente a Venezia nel gennaio 1980. Apparve così che le norme sulla sicurezza nucleare seguite fino allora in Italia erano meno rigorose di quelle internazionali e questo offrì sostegno agli oppositori delle centrali nucleari italiane.

La storia continua qui

Il post è un estratto della recensione di Giorgio Nebbia dell’Università di Bari sul libro di Andrea Candela, Storia ambientale dell’energia nucleare pubblicata sul numero 1.18 di Energia


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