La Gran Bretagna si è data gli obiettivi forse più ambiziosi sulla via della decarbonizzazione. “Clean growth is not an option but a duty”, ha scritto in modo perentorio la Premier Theresa May nel documento presentato al Parlamento nell’ottobre 2017 in attuazione del Climate Change Act del 2008 (vedi documento in allegato in fondo al testo).
Delle 50 misure avanzate per conseguire una riduzione dell’80% delle emissioni al 2050, con la fissazione del 4° e 5° carbon budget residuale (2023-2027 e 2028-2032), preme qui evidenziare la n.33: il phase-out del carbone nella generazione elettrica entro il 2025. Con l’effetto di ridurre sensibilmente la sua quota sui consumi energetici primari, oggi al 28% (le fonti fossili costituiscono il 78% dei consumi). Da qui ad allora la potenza elettrica a carbone dovrebbe ridursi dagli attuali 14 GW, distribuiti su 8 centrali, a 1,5 GW nel 2025. La ragione alla base di questa riduzione, al di là dei limiti fissati alle emissioni delle centrali e dei target climatici del paese, si riteneva fosse l’insostenibilità economica delle centrali a carbone, anche a fronte delle crescenti carbon tax. Il settore continuerà comunque a reggere da qui ad allora grazie alle centinaia di milioni di sterline di sussidi attinti dalle bollette dei consumatori e versati alle imprese per la funzione di back-up svolta dalle centrali a carbone.
Ma, ancora una volta, il Governo ha fatto i conti senza l’oste: il mercato. Nel mese di settembre, i consumi di carbone sono infatti inaspettatamente aumentati, accrescendo le emissioni di CO2 della generazione elettrica del 15%: pari a 1.000 tonnellate per ogni ora. Se il trend continuerà le emissioni aumenteranno quest’anno, per la prima volta dopo sei anni, di un quantitativo stimato in 1,2 mil. tonn.
La ragione di questa ripresa è tutta economica: la maggior convenienza all’uso del carbone nella generazione elettrica (nonostante il forte aumento del prezzo del carbonio) per il balzo dei prezzi del gas metano ai livelli più elevati dell’ultimo decennio, che ne ha sospinto i prezzi d’offerta dell’elettricità a 65£/MWh contro i poco più di 60£/MWh del carbone. Essendo il balzo del metano legato in larga parte a fattori interni (insufficiente capacità di trasmissione, basse scorte, chiusura del maggior sito di stoccaggio) è prevedibile possa perdurare per un qualche tempo.
Secondo un rapporto dell’Imperial College di Londra, anche se questa ripresa non scalfisse il rispetto del carbon budget corrente (2018-2022), non è certo possa accadere anche per i futuri budget, ponendo un serio problema al Governo sul raggiungimento degli obiettivi climatici che si è dato.
Stima dei costi della generazione elettrica da carbone e gas nel 3 trimestre (linea spessa) e l’output dalle centrali a carbone in Gran Bretagna (linea sottile)
Stima dei costi della generazione elettrica da combustibili fossili nel corso degli ultimi 20 anni assieme al costo delle emissioni di CO2
Fonte: Drax
Oltre il danno la beffa: della ripresa del carbone per i suoi minori costi non si avvantaggeranno i consumatori, ma i profitti delle imprese: la francese EdF, le tedesche E.On e RWE, la spagnola Iberdrola. Tutte straniere, in nome del credo tatcheriano che il mercato non ha bandiera.
The Clean Growth Strategy, Leading the way to a low carbon future
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