Dal 1° settembre, dopo uno slittamento di due anni, è entrato in vigore la messa a bando voluta dall’Unione Europea della lampade alogene e a incandescenza, da sostituirsi con quelle più efficienti a LED, che potranno ancora essere vendute sino ad esaurimento delle scorte, ma non essere più prodotte. La loro estromissione potrebbe comportare, secondo stime Enea, una riduzione dei consumi di elettricità di 48 TWh e delle emissioni di CO2 superiore ai 15 mil. tonn all’anno entro il 2025 (rispetto alle attuali emissioni totali della UE di 3,5 miliardi tonnellate).
I costi della sostituzione non saranno tuttavia irrilevanti per i consumatori-famiglie, ma scontando il minor consumo di energia (sino a cinque volte) e la maggior durata (sino a venti volte), il bilancio netto nel loro intero ciclo di vita è ampiamente positivo. Non sono mancate però le obiezioni a favore dei diritti dei consumatori a scegliere la soluzione che loro più aggrada, anche se meno conveniente. Obiezione a cui potrebbe aggiungersi l’alto costo d’acquisto delle lampadine a LED, pur ripagato dai benefici futuri, che molte famiglie potrebbero non essere in grado di sostenere.
L’esempio dell’illuminazione pone poi un interrogativo di più ampia portata: se la via post-Parigi – stanti i fallimenti del mercato quando non incentiva scelte economicamente pur razionali – non abbia a significare un progressivo passaggio verso divieti, obblighi, sanzioni.
Come ad esempio è previsto nel Piano del sindaco di Parigi Anne Hidalgo “Paris change d’ère. Vers la neutralité carbone en 2050”, che mira a ridurre a quella data l’80% delle emissioni attraverso una miriade di misure coercitive, tra cui: dimezzare le 600 mila vetture in circolazione (chi deciderà chi debba rinunciarvi?); almeno due occupanti per vettura (come accoppiarsi?); puntare a un’alimentazione “meno carnosa” col divieto di distribuire la carne due giorni la settimana, essendo il rifornimento dei negozi una delle prime voci nel trasporto cittadino. Domanda: che ne sarebbe, in sostanza, se parimenti alla lampadine venissero imposte alle famiglie altre apparecchiature più efficienti (condizionatori, caldaie, auto, etc.)?
Chiedendosi quale sia l’intervento più virtuoso, l’Economist l’ha individuato nei condizionatori d’aria, da cui potrebbe aversi un beneficio in termini di minori emissioni di CO2 di 90 mld. tonn al 2050 (solo intervenendo sul refrigerante) seguito dalla rinuncia alla carne di metà della popolazione (–66 mld. tonn); al rimboscamento di due terzi delle foreste abbattute (–62); all’aumento di un terzo dei percorsi in bicicletta (–2,3).
Si stima che nel prossimo decennio si installeranno nel mondo tanti condizionatori quanti ne sono stati venduti dall’inizio del secolo scorso quando si cominciò a venderne. Un lusso? No – prosegue la testata inglese – se si pensa alle molte vive umane che sono state in grado di salvare; ai miglioramenti di produttività nelle aree più calde; al maggior benessere. Ma – si può obiettare – più se ne installeranno più aumenteranno i consumi di energia, più aumenterà la temperatura terrestre, e più aumenterà il numero dei condizionatori.
Un giro vizioso che qui – come in altri casi – va spezzato, possibilmente accrescendone i miglioramenti tecnologici quanto a emissioni ed efficienza energetica, più che con proibizioni e divieti. Che, in diversi casi, come sperimentato negli Stati Uniti con la fissazione di nuovi standard emissivi delle auto tra 1996 e 2016, hanno portato gli automobilisti e privilegiare l’usato sul nuovo, così peggiorando le cose.
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login