5 Settembre 2018

Il risveglio del prezzo del carbonio

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Dopo cinque anni di calma piatta e prezzi asfittici imprigionati nella fascia tra i 4 e gli 8 Euro per tonnellata, il prezzo del carbonio ha superato la barriera dei 20 Euro. Il livello del prezzo non è ancora così elevato da indurre spostamenti del mix energetico tali da impattare significativamente sulla questione climatica. Non solo: in passato si erano già visti prezzi anche superiori, ad esempio intorno ai 30 Euro nel 2008. Dunque, non siamo di fronte a un dato rivoluzionario, ma di certo esso segna un’inversione di tendenza importante.

EVOLUZIONE DEL PREZZO DEL CARBONIO (euro/tonn CO2)

Fonte: sandbag.org.uk

Tre le cause principali che avevano portato al collasso dei prezzi: la debole domanda di energia, indotta sia dall’astenia dell’economia dopo il 2008 sia dai decrementi di intensità energetica; l’espansione delle rinnovabili, indotta da policy dell’Unione Europea che, non coordinando il cap dell’ETS con gli obiettivi di crescita delle rinnovabili, di fatto cannibalizzavano l’ETS; l’abbondanza  di crediti di carbonio generati all’esterno dell’Unione Europea ma utilizzabili, in virtù della Linking Directive, nel mercato dell’ETS. In sintesi, la simultaneità di abbondanza di offerta e debolezza di domanda determinavano la fiacchezza del prezzo delle quote di carbonio.

Da più parti era stata invocata, tout court, l’inidoneità dello strumento Emissions Trading quale causa della situazione creatasi e della sua mancata azione di stimolo sul mix energetico. Si era sostenuta la maggiore efficacia della carbon tax, e dunque la sua adozione quale soluzione del problema. In parole semplici, la persistenza di bassi prezzi aveva avviato un dibattito di entità tale da mettere in discussione la stessa impalcatura delle policy dell’Unione Europea. Oggi, sfondata quota 20 Euro, si comprende che il problema non era intrinseco allo strumento – il mercato delle emissioni – quanto alle modalità della sua attuazione. Gli strumenti di policy ci sono e funzionano, se usati bene. Lo stesso vale per la carbon tax, qualora l’Europa o altre aree del mondo decidessero di impiegarla con fermezza per mitigare le emissioni dei settori diversi dall’ETS. Certo, la stessa esperienza cinese, da poco avviata, con il trading delle emissioni, ci dice che il funzionamento di un mercato del carbonio può scontrarsi con difficoltà organizzative considerevoli. Nondimeno, ciò non implica in assoluto la non idoneità dello strumento.

La crescita dei prezzi sul mercato europeo è dovuta a ragioni sia di natura congiunturale che strutturale. Le prime sono legate all’estate calda che ha influenzato sia la domanda di elettricità (maggiore richiesta di aria condizionata) che l’offerta (scarsità idrica che ha limitato tanto la generazione idroelettrica quanto quella nucleare). Le seconde, invece, sono l’esito della riforma dell’ETS che – attraverso la Market Stability Reserve (MSR), la cancellazione di circa 800 mil. tonn di quote di CO2 e l’incremento della riduzione annua delle quote dall’iniziale 1,7% annuo al 2,2% – agisce sul lato dell’offerta di crediti, riducendola. In particolare, la MSR stabilizza l’offerta delle quote in circolazione, diminuendola qualora il mercato manifesti sovrallocazione, o incrementandola nei casi di eccesso di domanda. È interessante osservare come, se da una lato le cause congiunturali rappresentano un fenomeno reale, quelle strutturali sono, almeno parzialmente, la conseguenza di aspettative degli operatori, poiché l’avvio della MSR è previsto nel gennaio 2019. Si dimostra che le aspettative possono modificare sensibilmente i comportamenti degli agenti e generare effetti tangibili quanto i fatti reali.

Per concludere, guidato dalla congiuntura e dalle policy – dopo anni di impasse – il mercato è finalmente entrato in una fase nuova. Resta da capire quanto essa duri e se, realmente, essa sia il preludio di quella crescita cospicua del prezzo del carbonio implicito nell’Accordo di Parigi e nell’obiettivo dei 2 °C.


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