Quando finiranno le riserve di greggio è una domanda ricorrente nel mondo dell’energia e alla quale sono state date negli anni diverse risposte, non di rado contrastanti tra loro. E quindi? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Conosciuto fin dall’antichità per via di affioramenti naturali, il petrolio fa la sua comparsa in epoca moderna alla metà del XIX secolo in una data che generalmente si fa coincidere con il pozzo scavato dal Colonnello Drake a Titusville negli Stati Uniti nel 1858. Come per il carbone prima di lui, ci volle tuttavia un secolo dalla sua iniziale commercializzazione affinché il petrolio divenisse dominante nella struttura dei consumi energetici, seguendo quelli che vengono definiti tempi di penetrazione delle innovazioni.
Da allora i timori e le profezie di un suo imminente esaurimento si sono succeduti a più riprese senza tuttavia superare mai la prova dei fatti. Il primo a teorizzarne l’esaurimento è stato Marion King Hubbert, geologo della compagnia petrolifera Shell, nel 1956, proprio quando il petrolio andava rivoluzionando in meglio la vita delle popolazioni delle cosiddette economie avanzate. Secondo lui, la produzione di greggio avrebbe toccato il suo picco (il celeberrimo “picco di Hubbert”) all’inizio degli anni ’70, dopodiché ne sarebbe seguito un inesorabile declino.
Le prime previsioni indicavano la fine del petrolio all’inizio degli anni ‘70
Anziché testimoniare la fallacità della previsione di Hubbert è proprio negli anni Settanta che i timori circa l’esaurimento dell’oro nero tornano alla ribalta, con la pubblicazione del Rapporto sui limiti dello sviluppo da parte del Club di Roma nel 1972 giusto un anno prima dell’esplodere della Prima Crisi Petrolifera che minacciava il raggiunto benessere delle popolazioni Occidentali (anche se per ragioni geopolitiche e non geologiche).
Da allora, il rapporto del Club di Roma è stato riaggiornato nel 1992 e nuovamente nel 2004 ed ha ispirato numerosi studiosi, tra cui il teorizzatore della decrescita Serge Latouche e il guru della Terza Rivoluzione Industriale Jeremy Rifkin. Eppure, nonostante i ripetuti avvertimenti di un imminente esaurimento, dati alla mano non si è mai avuto a disposizione tanto petrolio quanto oggi, e non se n’è mai consumato tanto.
Nonostante i ripetuti avvertimenti di un imminente esaurimento, non si è mai avuto a disposizione tanto petrolio quanto oggi, e non se n’è mai consumato tanto
Lungi dall’andare esaurendosi, le riserve provate di petrolio sono costantemente cresciute nel corso degli ultimi 20 anni, passando da 1.141mila milioni di barili nel 1998 ai 1.730mila milioni nel 2018. Le ragioni sono molteplici, ma riconducibili principalmente al combinato disposto tra sviluppo tecnologico e andamento dei prezzi petroliferi. Se questi si attestano su un livello elevato consentono infatti di innescare investimenti in aree geografiche o tecniche altrimenti proibitive.
È successo durante le due crisi petrolifere degli anni Settanta, quando i prezzi elevati e l’impossibilità di operare in Medio Oriente hanno spinto a cercare petrolio nel Mare del Nord e in Africa. E in maniera forse ancor più eclatante è successo negli Stati Uniti a partire dal 2005, quando gli altri prezzi del greggio (che da lì a qualche anni giungeranno a toccare quota 100 doll/.bbl sospinti dalla domanda cinese che aveva da poco fatto irruzione nel commercio internazionale) innescarono la cosiddetta shale oil revolution.
L’uso combinato da parte di piccoli produttori di due tecniche di perforazione conosciute da tempo (la fratturazione idraulica o fracking e la perforazione orizzontale) per estrarre idrocarburi intrappolati in formazioni argillose impermeabili (denominati per l’appunto shale o scisti, la cui presenza era anch’essa nota da tempo) ha consentito la strabiliante impresa di raddoppiare nel giro di un decennio la produzione petrolifera statunitense portandola sul podio mondiale assieme ad Arabia Saudita e Russia con circa 11 mil. b/g nel 2018.
Ma quindi quanto durerà il petrolio? Attualmente il conteggio tecnico di dice 50 anni, ma non si può dare una risposta definitiva
Ma quindi? Quanto durerà il petrolio? Attualmente il conteggio tecnico ci dice 50 anni ed è il risultato del rapporto tra riserve provate e produzione (il cosiddetto R/P ratio). Preso singolarmente questo dato rischia tuttavia di risultare poco indicativo, se non fuorviante. Esso riflette infatti lo stato della conoscenza geologica del sottosuolo, che, come visto, è soggetto agli investimenti ed ai miglioramenti della tecnica.
Basti pensare che questo rapporto indicava 42 anni nel 2008, ma da allora il tasso di sostituzione delle riserve è stato maggiore del tasso di crescita della produzione (1,2% vs 1% tra il 2007 e 2017). E questo nonostante il consumo di petrolio sia nel frattempo abbondantemente cresciuto fino a quasi sfondare quota 100 milioni di barili al giorno.
Non si può quindi dare una risposta definitiva al nostro quesito iniziale, per lo meno non in termini calendaristici. Si può tuttavia avanzare qualche ulteriore ragionamento in grado di fornirci qualche altro indizio.
Quelle che abbiamo ripercorso in precedenza sono le cosiddette teorie del “picco dell’offerta petrolifera” (peak oil supply), ma in tempi recenti si sono affacciate anche teorie del “picco della domanda” (peak oil demand), secondo le quali il petrolio non finirà, ma ne consumeremo sempre meno. Attualmente infatti il petrolio è l’indiscussa regina delle fonti di energia, non solo per i suoi costi, ma soprattutto per la sua flessibilità di trasporto e di impiego. Non vi sono fonti potenzialmente in grado di scalzarlo in virtù delle sue intrinseche proprietà.
Se le cose dovessero andare così come sono andate finora (il cosiddetto business as usual) non vi sono quindi limiti tecnologici o fisici al suo consumo. Tuttavia, per far fronte alla minaccia dei cambiamenti climatici, la comunità internazionale si è via via impegnata a ridurre le emissioni i CO2, da ultimo con l’Accordo di Parigi del 2015. Ciò richiede un drastico calo dei consumi da fonti fossili, ivi compreso il petrolio. Sono quindi le politiche climatiche e fiscali e gli investimenti in ricerca e sviluppo che potranno dirci quanto durerà la nostra dipendenza dal petrolio.
Per chiudere tornando alle profezie, è più probabile che si avveri quella dello sceicco Ahmed Zaki Yamani, Ministro del petrolio dell’Arabia Saudita dal 1962 al 1986: l’età della pietra non finì per mancanza di pietre, così l’età del petrolio non finirà perché mancherà il petrolio.
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