23 Ottobre 2018

La Libia verso l’uscita dal tunnel?

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Nonostante i volumi produttivi siano tornati ai livelli più alti dal 2013, il settore petrolifero libico soffre ancora il contesto di ingovernabilità che dal 2011 interessa il Paese. In settembre, la produzione ha raggiunto 1,15 mil. bbl/g: +0,21% su agosto 2018, +0,23% su settembre 2017. Decine di milizie sono tuttavia ancora raggruppate in due coalizioni principali: il Governo di unità nazionale in Tripolitania e quella guidata dal feldmaresciallo Khalifa Haftar in Cirenaica.

La rivalità tra gruppi armati per il controllo del Paese preoccupa in primis sotto il profilo della sicurezza. Basta guardare agli incidenti del mese scorso – l’attacco terroristico alla sede della National Oil Corporation (NOC), rivendicato dall’ISIS, e quello all’aeroporto di Tripoli, che ha isolato la città dai rifornimenti di prodotti petroliferi colpendo la sede della Brega Petroleum Marketing Company – per comprendere come in assenza del monopolio delle forze armate anche la ripresa dell’attività produttiva sia in pericolo, dal momento in cui le milizie potrebbero “bloccare i giacimenti e le pipelines a loro piacimento”.

Forte è l’attesa per la conferenza internazionale di Palermo promossa dall’Italia, che il 12 novembre dovrebbe riunire allo stesso tavolo i principali attori istituzionali e politici libici e internazionali

In secondo luogo, la frammentazione politica si ripercuote nella difficoltà di esprimere una legge elettorale per le prossime elezioni, inizialmente previste dall’ONU per il 10 dicembre 2018 ma ad oggi assai improbabili. Per il superamento dell’impasse politica, forte è l’attesa per la conferenza internazionale di Palermo promossa dall’Italia, che il 12 novembre dovrebbe riunire allo stesso tavolo i principali attori istituzionali e politici libici e internazionali per definire le modalità di uscita dallo stato di precarietà che dura da ben sette anni. Tra gli invitati, Donald Trump, Emmanuel Macron, Vladimir Putin e Angela Merkel, unica ad aver confermato la presenza.

Dal punto di vista energetico, la NOC libica di Tripoli guidata da Mustafa Sanalla (quella internazionalmente riconosciuta, a differenza della NOC di Bengasi) punta a superare i livelli pre-crisi arrivando a produrre 2 mil. bbl/g di petrolio entro il 2020, e ad espandere la capacità di raffinazione nazionale per mettere fine alla dipendenza dalle importazioni. Finora le poche risorse pubbliche a disposizione sono state indirizzate alla manutenzione delle infrastrutture esistenti e alla riparazione dei danni causati dagli attacchi delle milizie nonché delle pipeline in disuso. Significativi nuovi investimenti saranno invece necessari per espandere la produzione e garantirne la sicurezza.

Le sanzioni delle Nazioni Unite di giugno 2018 contro la vendita illegale di greggio hanno consentito alla NOC di Tripoli di resistere alla rivale NOC di Bengasi, che operava in Cirenaica sotto il controllo della fazione guidata da Haftar e che a luglio le ha riconsegnato la gestione dei terminali orientali. L’attività di cooperazione internazionale ha inoltre sostenuto la lotta al contrabbando di greggio nel Mediterraneo con l’arresto di personaggi chiave del mercato nero: un giro d’affari che avrebbe sottratto alle casse del Paese 700 milioni di dollari all’anno secondo una stima della NOC. Già un anno fa le indagini della Guardia di Finanza di Catania avevano fatto luce sull’attività di un’associazione a delinquere internazionale dedita al riciclaggio di gasolio libico illecitamente sottratto dalla raffineria di Zawyia, trasportato in Sicilia via mare e successivamente immesso nel mercato italiano ed europeo.

Intanto le compagnie russe Gazprom e Tatneft a inizio ottobre hanno dichiarato la volontà di riprendere l’attività di esplorazione e produzione rispettivamente di gas e petrolio sospesa dopo la caduta di Gheddafi. Allo stesso modo, Eni ha recentemente reso noto il progetto di affiancare BP e la NOC nel rispristino delle attività che dal 2014 erano sostanzialmente ferme. Iniziative del genere concorrerebbero ad attirare ulteriori investimenti utili a sostenere il sogno di più alti livelli di produzione petrolifera e benessere per il Paese, realizzabile con grandi difficoltà se dalla Conferenza di Palermo non si avvierà un percorso di pacificazione civile.


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