9 Ottobre 2018

L’IPCC, Nordhaus e il casinò del clima

LinkedInTwitterFacebookEmailPrint

Il recente rapporto dell’IPCC “Global Warming of 1.5°C” e la contestuale assegnazione del premio Nobel per l’economia a William Nordhaus hanno riacceso l’attenzione sul tema del clima. Il rapporto dell’IPCC si sofferma sui vantaggi impliciti in un aumento di temperatura di 1,5°C rispetto al target internazionale dei 2°C. In verità, l’accordo di Parigi incorpora entrambi gli obiettivi, ma è indubbio che il post-Parigi abbia rafforzato quello dei 2°C e messo in secondo piano quello più ambizioso di un grado e mezzo. Ora, il rapporto intermedio dell’IPCC – intermedio perché rappresenta un punto di passaggio in vista del più ampio e articolato 6° rapporto – sottolinea come l’obiettivo di 1,5°C sia assai più vantaggioso e meno rischioso di quello dei 2°C. Ad esempio, un riscaldamento globale di 1,5 °C comporterebbe entro il 2100 un aumento del livello del mare inferiore di 10 cm rispetto a quello associato ai 2 °C, una riduzione della probabilità di assenza di ghiaccio marino nell’Artico, in estate, da una volta ogni decade ad una volta ogni secolo, una riduzione delle barriere coralline compresa tra il 70 e il 90%, contro il 99% dei 2°C.

Sembrano modesti miglioramenti – o sarebbe meglio dire minori peggioramenti – ma secondo gli esperti ogni epsilon di grado in meno può fare la differenza, riducendo il rischio di cambiamenti irreversibili. In altre parole, ciò che l’IPCC ci sta dicendo è che la temperatura di 2 gradi centigradi, che fino ad oggi era stata interpretata come una soglia accettabile di protezione dell’equilibrio climatico, in realtà è troppo alta e bisogna portare la temperatura verso un grado e mezzo. Inoltre, il rapporto offre un insieme di indicazioni di policy su possibili opzioni per portare il sistema energetico mondiale verso l’obiettivo auspicato e le quantifica: complessivamente, lo sforzo richiesto è di 2,4 trilioni di dollari annui nel periodo tra il 2016 e il 2035, ovvero circa il 2,5% del PIL mondiale. Non discutiamo qui del significato economico di tale cifra – troppo alta? troppo bassa? fattibile o improponibile? – sarebbe troppo lungo. Ciò che è interessante sottolineare è come la pubblicazione del rapporto dell’IPCC abbia coinciso con l’assegnazione del premio Nobel per l’economia a William Nordhaus, un economista che da decenni si occupa del tema del clima e che è stato insignito del Nobel proprio per i suoi studi sull’effetto del cambiamento climatico sull’economia.

Di Nordhaus, riportiamo qui la famosa frase “l’umanità sta giocando a dadi con l’ambiente naturale mediante una moltitudine di interventi: iniettando nell’atmosfera gas come quelli serra o prodotti chimici che attaccano l’ozono, causando cambiamenti a grande scala dell’uso del terreno con deforestazioni, eliminando l’habitat naturale di svariate specie e allo stesso tempo creandone di transgeniche in laboratorio, accumulando armi nucleari sufficienti per distruggere la civiltà umana”. Se si volesse trovare una denominazione per i due eventi – il rapporto IPCC e il Nobel a Nordhaus – si potrebbe dire che essi rappresentano “il grido della scienza”. Oggi, più di ieri, la scienza indirizza al genere umano il suo segnale di allarme. Ciò a cui si assiste, tuttavia, non è la presa di coscienza del pericolo, piuttosto la sua rimozione. E infatti, come mostrano i dati più recenti, le emissioni di gas serra sono tornate a crescere dopo un triennio di stabilità che ci aveva illuso circa un cambio di direzione.

L’unica cosa certa è che occorre fare presto

È come se fossimo di fronte ad un organismo schizofrenico, che da una parte vede distintamente il cobra in procinto di morderlo e dall’altra continua ad andargli incontro. Perché lo fa? Molte le spiegazioni date dalla scienza, e in particolare dagli psicologi e dagli economisti comportamentali. Cercando di sintetizzarle con un’immagine potremmo dire che la scena del cobra avviene al rallentatore, e per questo il serpente è percepito come lontano. Ma poiché il futuro, per quanto lontano, non è altro che il presente che verrà, ne consegue che sarebbe bene porre attenzione a quel cobra cambiando strada. Ma ciò non sta accadendo, anche perché l’intera questione dei danni del cambiamento climatico e dei costi associati alla loro limitazione è avvolta nell’incertezza. Di qui la terminologia cara a Nordhaus: “The climate casino” è il titolo di uno dei suoi libri più fortunati, e ‘Dice’ – Dado – è il nome del modello usato negli anni da Nordhaus, che di certo molto ha contribuito al suo Nobel.

Insomma, siamo all’interno di un casinò e non c’è alcuna certezza sull’esito delle nostre giocate. L’unica cosa certa è che occorre fare presto: secondo l’IPCC dovremmo ridurre le emissioni di CO2 entro il 2030 del 45% rispetto ai livelli del 2010, per portarle – anche compensandole – a zero nel 2050! In sintesi, secondo il Panel il genere umano dovrebbe – e potrebbe – fare in 12 anni ciò che non ha fatto in 30. Velleitario o possibile? Illusorio o ragionevole? Lasciamo al lettore la risposta alle perfide domande.


1 Commento
Che cosa (non) è stato deciso alla conferenza Cop24 – Startmag 

[…] Anziché denunciare lo scarto tra impegni e fatti, parte degli ambientalisti si dice soddisfatto di come le cose vanno consolandosi con qualche dato sull’aumento delle rinnovabili, con le previsioni sulla penetrazione dell’auto elettrica, con il continuo innalzamento dei target di riduzione delle emissioni (senza badare se siano raggiungibili o no). Di fronte a questa accidia vien da pensare che il peggior negazionismo non sia tanto o solo quello di chi si rifiuta di ammettere i cambiamenti climatici originati dall’uomo, ma nondimeno di chi semplifica la complessità delle cose e di chi sostiene che ogni ‘piccolo passo in avanti’ sia comunque un’ottima notizia, smentendo di fatto gli allarmi dell’IPCC e l’urgenza con cui bisognerebbe agire. […]


Login