16 Ottobre 2018

Non c’è trippa per gatti: il governo del cambiamento e le aziende partecipate

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Non mi esprimo sull’opportunità o meno della convocazione d’urgenza a Palazzo Chigi delle aziende a partecipazione pubblica – peraltro con larghissima presenza privata – presso la ‘cabina di regia per gli investimenti’ per sondarne la disponibilità a sostenere la manovra del Governo con nuovi investimenti al fine di alimentare una crescita interna altrimenti asfittica.

Al riguardo, penso, o meglio spero, che avranno qualcosa da dire gli amministratori indipendenti di queste società, come accaduto in passato a fronte di similari intrusioni. A dire del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dall’incontro sarebbe emersa la disponibilità delle partecipate di redigere “un piano di investimenti aggiuntivo di 15 miliardi di euro, rispetto a quanto da loro programmato, per il prossimo quinquennio” con la possibilità di “arrivare a 20 mld nel caso in cui riuscissimo a realizzare, come ci proponiamo di fare, tutta la semplificazione burocratica” che si rendesse necessaria.

In sintesi, quindi, ulteriori investimenti di 3-4 miliardi l’anno per un quinquennio. Considerato il ruolo dominante che le aziende energetiche – Eni, Enel, Snam, Terna, Italgas – hanno nell’insieme delle partecipate, con ricavi nel 2017 pari all’83% del totale (che include anche Leonardo, Fincantieri, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato), vi è da chiedersi quale possa essere l’eventuale loro contributo alla richiesta del Governo.

Prima di rispondere è necessario dar conto del fatto che mentre Snam, Terna, Italgas (controllate da Cassa Depositi e Prestiti attraverso CDP Reti) gestiscono reti infrastrutturali operando quasi interamente in Italia, Enel ed Eni operano in decine di paesi con una presenza in Italia tutt’altro che dominante. Guardando ai ricavi, prossima nel caso di Enel (2017) al 50% e in quello di Eni al 30%. Questa diversificazione geografica si riflette evidentemente sul versante degli investimenti programmati. I piani industriali approvati dai rispettivi Consigli di Amministrazione prevedono nel prossimo futuro investimenti complessivi annui intorno a 18,6 miliardi di euro, destinati al nostro Paese per poco meno di un terzo – circa 6 mld/a – così distribuiti: Italgas 0,6, Snam 1, Terna, 1, Enel 1,8, Eni 1,7.

Una cifra nell’insieme considerevole, ma non tale da far presumere che possa essere aumentata d’emblée (anche volendo) in misura tale da fornire un contributo significativo al rilancio degli investimenti in Italia. Un loro ipotetico aumento del 10% (considerevole, viste le passate dinamiche) si tradurrebbe in investimenti aggiuntivi per 0,6 miliardi euro contro i 3-4 ipotizzati dal Presidente del Consiglio.

Bisogna poi evidenziare che investire in Italia nell’energia – qualunque sia la natura del progetto – è impresa improba se non eroica, date le diffuse dure opposizioni ad operare

Difficile che le altre minori aziende possano colmare il divario. Bisogna poi evidenziare che investire in Italia nell’energia – qualunque sia la natura del progetto – è impresa improba se non eroica, date le diffuse dure opposizioni ad operare (si pensi a No-Tap e No-Triv), con tempi di realizzazione dei progetti impossibili a prevedere, ma certamente non brevi. Dei 359 progetti bloccati, censiti dall’Osservatorio Nimby Forum, il 57% sono energetici, dei quali il 75% riferibile alle fonti rinnovabili.

Un’ultima considerazione: se ad Eni – come alle molte imprese minerarie estere uscite dal nostro Paese rinunciando a progetti per 10-15 miliardi euro – fosse stato consentito di incrementare le ricerche di idrocarburi in Italia, gli investimenti domestici di Eni sarebbero oggi di molto maggior rilievo. Dubito in futuro gli sia concesso farlo. Ma questo è tutto un altro discorso.


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Eni, Enel, Terna e Snam. Ecco gli investimenti prossimi venturi (pre cabina di regia del governo) – Startmag 

[…] Articolo pubblicato su Rivista Energia […]


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