Ci sono misure di riduzione della CO2 che l’Italia potrebbe adottare da subito e con costi pressoché nulli. Chiaramente questo significa affrontare il tema del carbone nel mix di produzione di energia elettrica.
IL CASO DELLA GERMANIA
Il caso tedesco è emblematico del fallimento di quelle politiche ambientali che investono in rinnovabili e in efficienza energetica ma arretrano quando occorre gestire la questione della produzione elettrica da carbone. Tra costi di uscita dal nucleare e di sviluppo delle rinnovabili, la Germania ha complessivamente speso già circa 150 mld di euro, ma il livello emissivo della CO2 non si è ridotto, è di fatto fermo ai valori di 10 anni fa. [i]
In Germania, le rinnovabili non hanno spiazzato minimamente la produzione a carbone
Ma questo non può sorprenderci se consideriamo che la Germania nel 2009 produceva 260 TWh di energia da carbone, oggi ne produce solo 10 TWh in meno. Le rinnovabili non hanno quindi spiazzato minimamente la produzione a carbone. Tutto quello che la Germania produce e non consuma ha trovato nell’export la sua nuova strada, sfruttando le condizioni di mercato. [ii] Ebbene, se in teoria tutta la produzione di energia elettrica da oil e coal fosse sostituita da gas, il totale delle emissioni di CO2 in Germania sarebbe quasi dimezzato.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Questo è vero anche per l’Italia. Noi partiamo da un mix più pulito (produciamo la metà dell’energia elettrica prodotta in Germania, ma le emissioni di CO2 sono un terzo di quelle tedesche). [iii] Ciò detto, potendo sostituire tutto il carbone con il gas – cosa che ancora non è pienamente possibile, data la situazione sarda e l’irrisolta questione dell’impianto essenziale di Brindisi – anche per l’Italia si otterrebbe una riduzione delle emissioni di circa il 20%: 24 mil. ton di CO2 contro il calo di 25 mil. ton/anno ottenuto con misure che non possiamo dire essere state ‘a buon mercato’.
Non possiamo permetterci di rinviare il phase-out dal carbone
Senza nulla voler togliere all’importanza di procedere nello sviluppo delle rinnovabili, il messaggio è che non possiamo permetterci di rinviare il phase-out del coal, anzi occorre inserirlo come primo intervento da adottare per efficacia e anche minori costi associati.
Come Italia ci siamo già dati nella SEN una scadenza, il 2025, entro la quale le centrali a carbone devono essere dismesse. Questo però non significa che nel mentre non dobbiamo attivarci per ridurre la produzione da carbone e, quindi, le relative emissioni.
Chiaramente, agire nel breve significa intervenire a parco produttivo invariato. Ciò detto, una leva è comunque disponibile: possiamo lavorare sulla competitività del gas verso il carbone, per promuovere lo switch coal to gas, o meglio per non ostacolarlo. E fin qui non stiamo dicendo nulla di nuovo.
Generalmente però il tema è affrontato guardando a possibili misure per ‘penalizzare’ il coal (es. carbon tax UK). Senza mettere in discussione l’importanza di queste misure, il nostro suggerimento è: interveniamo anche sui costi del gas, rimuovendo quelle inefficienze che finiscono paradossalmente per avvantaggiare il carbone.
GLI ONERI SUL PREZZO DEL GAS
Oggi le centrali termoelettriche a gas, al pari degli altri consumatori, pagano una serie di componenti addizionali sul gas consumato per complessivi circa 4 euro/MWhe [iv] a tariffe attuali. Ebbene, l’applicazione di questi oneri sul consumo ‘intermedio’ delle centrali genera due paradossi:
(1) per recuperare nei prossimi 3 anni circa 1,5 mld di euro di oneri dal gas utilizzato per la produzione di energia elettrica, ne facciamo pagare quasi 3 mld sulla bolletta elettrica [v]. L’onere quasi si raddoppia. Questi extra-costi del gas sono in realtà rendite che stiamo assicurando agli altri impianti (inframarginali) tra cui quelli a carbone e ai paesi esteri da cui importiamo.
(2) in più, applicando questi oneri alle centrali a gas, ne riduciamo la competitività rispetto al carbone. L’aspetto paradossale è che gran parte di questi oneri aggiuntivi sul gas servono a recuperare i costi degli interventi di risparmio energetico (i ‘certificati bianchi’). Quindi per remunerare l’efficienza energetica, stiamo aumentando le emissioni di CO2!
Abbiamo creato un cortocircuito per cui i due principali obiettivi della politica ambientale europea sono andati in conflitto.
COME AUMENTARE LA COMPETITIVITÀ DEL GAS RISPETTO AL CARBONE
Una delle misure che potremmo adottare da subito è quella di eliminare (allocandoli diversamente) questi oneri addizionali dal costo del gas per la produzione elettrica; in tal modo aumenteremmo la competitività del gas rispetto al carbone, creando in ultima istanza le ‘condizioni di mercato’ per uno switch di tecnologia.
Sulla base delle curve forward attuali, si può stimare per effetto della misura proposta fino a 10 TWh di minor produzione elettrica a carbone nel triennio 2019-2021, con una riduzione netta delle emissioni di CO2 pari a 5 mil. ton. Tutto questo semplicemente superando una distorsione, tra l’altro costosa per il consumatore.
Quindi, intervenendo sui costi variabili delle centrali a gas e riallocando in modo efficiente detti oneri, si riesce a:
- ridurre la bolletta elettrica del consumatore finale;
- incentivare un’efficace misura di decarbonizzazione, a costi aggiuntivi praticamente “negativi”. Il consumatore ne ha un beneficio;
- recidere il legame tra il mercato dei certificati bianchi e quello dell’energia elettrica.
Hannelore Rocchio è Vicepresidente esecutivo del Regulatory Affairs and Strategy Support di Eni.
Recentemente ha scritto insieme a Federico Boschi l’articolo Mercato della sicurezza gas: i fallimenti dell’attuale regolazione e le proposte di riforma pubblicato sul numero 3.18 di Energia