22 Ottobre 2018

Recessione ed Energia: quali impatti

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“The next recession – How bad will it be?”. Così titolava la copertina dell’Economist dell’11 ottobre, proseguendo poi che “is just a matter of time”. Se accadesse, sarebbe la quarta recessione dagli anni Ottanta. Più o meno una ogni dieci anni.  Meno pessimista è il FMI che nel World Economic Outlook di Ottobre, pur mantenendo per il 2018 una crescita solida del 3,7%, afferma che “the expansion is becoming less even, and risks to the outlook are mounting”. Secondo altri, come Warren Buffet, ‘l’oracolo di Omaha’, il petrolio potrebbe essere la concausa di una prossima recessione. Se così fosse, sarebbe la quinta volta che la fase finale di un ciclo espansivo coincide con un balzo dei prezzi del petrolio, seguito da un loro crollo (come nel 1973 e nel 2008). Che impatto potrebbe avere la recessione sul mondo dell’energia, specie riguardo le politiche climatiche?

Una delle ragioni che da sempre ha reso incerta la lotta al surriscaldamento globale è che sin dalla prima Conferenza sul Clima di Berlino nel 1995, ma anche nell’infinita letteratura sul tema, non si sia mai tenuto conto dei parametri cruciali che entrano nella equazione climatica, a partire dall’andamento delle economie. Il copione delle Conferenze è rimasto sempre il medesimo: presa d’atto degli aggiornamenti scientifici dell’IPCC e negoziazione politica su quantum e tempi della riduzione delle emissioni. Niente sulla fattibilità di quel che si proponeva dato il contesto esterno – espansivo o recessivo – entro cui si sarebbe dovuto operare.

Le conseguenze della recessione sulle emissioni e sui prezzi

Due gli ordini di impatti che una recessione avrebbe sul binomio energia-clima. Primo: di tipo diretto per la cinghia di trasmissione che lega crescita economica → consumi di energia → emissioni clima-alteranti. Non a caso dopo la crisi del 2008 le emissioni sono prima crollate, per poi stabilizzarsi e riprendere a crescere con l’uscita dal tunnel delle economie. L’idea che ha prevalso in questi anni è invece che le emissioni avrebbero continuato a ridursi – a prescindere dal contesto macro – grazie al maggior apporto delle rinnovabili e del metano. Gli scenari di consenso, a iniziare da quello canonico dell’Agenzia di Parigi, assumono una crescita del prodotto interno lordo mondiale molto sostenuta, intorno al 3,5% medio annuo dal 2016 al 2040. Tassi difficili da conseguire se il cielo plumbeo dipinto dall’Economist si trasformerà in tempesta

Degno di nota è la previsione che la crisi muoverà soprattutto dai paesi emergenti, anche se segni di rallentamento si hanno in alcuni avanzati. A cui aggiungere la ‘ticking time bomb’ (bomba a orologeria) dell’Italia. I paesi emergenti hanno trainato e si prevedeva trainassero in futuro la domanda di energia. L’impatto sulla domanda potrebbe essere quindi considerevole. È bastato che la crescita della Cina rallentasse pur di poco perché le sue importazioni flettessero a metà anno del 5% sull’anno precedente. La prospettiva di mantenere una crescita della domanda di petrolio intorno a 1,5 mil. bbl, come nello scorso biennio, svanirebbe.

Minori prezzi del petrolio compromettono la (raggiunta?) competitività delle rinnovabili

Il secondo ordine di impatti di una recessione, di tipo indiretto, si avrebbe in primis sui prezzi del petrolio e del metano. Minori prezzi, mentre attenuano l’effetto depressivo della recessione sulla domanda, compromettono la (raggiunta?) competitività delle rinnovabili. Per conseguire gli accresciuti obiettivi di loro penetrazione, i governi dovranno ripor mano agli incentivi. Farlo, aggravando le tasche dei consumatori, sarebbe poco razionale e politicamente molto costoso, anche per le crescenti difficoltà economiche che le famiglie incontrano nel riscaldare adeguatamente la casa. La forte crescita dei prezzi del petrolio da un anno in qua oltre gli 85 doll/bbl, poi ripiegati a 80 doll/bbl, potrebbe arrestarsi o invertirsi di segno. La crisi Asiatica del 1997-1998 fece crollare i prezzi del petrolio a 10 doll/bbl. Secondo Reuters se si entra in recessione potrebbero crollare questa volta a 20 doll/bbl.

Altro impatto indiretto si avrebbe sul flusso di investimenti necessari a decarbonizzare i sistemi energetici ed economici. In uno scenario di bassi prezzi la loro redditività sarebbe fortemente compromessa. Per le sole rinnovabili, IRENA stima un fabbisogno di 25.000 miliardi dollari entro il 2050 per accrescerne il peso dal 15% al 65% sul mix delle fonti primarie: pari a 700 mld doll ogni anno: oltre due volte quelli registrati nel 2017, secondo Bloomberg New Energy Finance.

All’indomani della passata recessione del 2008-2009, la Commissione quasi se ne compiacque, sostenendo che il miglior antidoto alla crisi stava proprio nelle politiche climatiche incardinate nel Protocollo di Kyoto, costato all’Europa dal 2008 ad oggi 60 mld euro ogni anno senza nulla contribuire alla riduzione delle emissioni (contando le emissioni esportate con la delocalizzazione di attività produttive).

Speriamo che Bruxelles non abbia a rallegrarsene anche questa volta…


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