Come uno yo-yo i prezzi del petrolio hanno conosciuto da metà anno forti oscillazioni, prima in salita poi in discesa, dopo un primo semestre in leggera diminuzione. Dal 15 agosto al 1° ottobre hanno guadagnato 15 dollari al barile arrivando a 85, un aumento da inizio anno quasi del 30%.
Ce ne siamo accorti facendo benzina o gasolio, ma anche dalle bollette dell’elettricità e del metano con aumenti cumulati nell’anno rispettivamente dell’11,4% e 13,6%, che hanno aggravato il disagio di milioni di famiglie italiane portando la spesa annua per le due fonti a 1.500-2.000 euro. Ignari commentatori hanno ricondotto questi aumenti alle tensioni nel mercato del petrolio. Non è così.
L’aumento dei prezzi è imputabile unicamente ad incrementi dei costi (effettivi o attesi) o anche ad un incremento dei profitti delle imprese?
L’Autorità di regolazione ha motivato l’ultimo incremento sostanzialmente con tre ragioni. Primo: i “prezzi di riferimento del gas naturale”, che molto contribuisce alla generazione elettrica (2017: 47%), aumentati nell’hub italiano PSV il doppio del petrolio (60% vs 30%). Chi ha sostenuto che i valori spot fossero sempre più convenienti dei prezzi oil-linked dei contratti a lungo termine e che su di essi bisognasse quindi fissare i prezzi interni ha di che ricredersi. Anche se a caro prezzo. Secondo: “crescita senza precedenti del prezzo dei permessi di emissione di anidride carbonica” (+29%) come avevamo rilevato già in settembre. Terzo: balzo del prezzo dell’elettricità nella borsa italiana (+29%) che ha risentito di questi fattori, ma anche dei maggiori profitti dei venditori.
dal 1° gennaio le tariffe potrebbero ulteriormente aumentare
Se l’aumento delle quotazioni del greggio ha influenzato verso l’alto, direttamente o meno, carburanti, metano, elettricità, ne deriva che il loro successivo crollo dal 1° ottobre al 25 ottobre – da 85 a 76 dollari al barile (-10,5%) – dovrebbe riflettersi su di essi a ritroso. Per i carburanti è auspicabile sia già avvenuto, mentre per metano ed elettricità dobbiamo attendere le decisioni dell’Autorità che tuttavia non è affatto detto ne decretino un ribasso dall’inizio 2019. Anzi. Per tre ragioni:
(a) revisione della remunerazione degli investimenti che dovrà tener conto del ‘rischio paese’ riflesso nell’accresciuto valore dello spread (per Ref-e ballano 460 milioni euro);
(b) recupero di 1 miliardo euro di oneri di sistema momentaneamente congelati dall’Autorità;
(c) perdurante tensione nei prezzi forward del metano.
Morale: dal 1° gennaio le tariffe potrebbero ulteriormente aumentare.
Al di là della per me discutibile correttezza dei loro meccanismi di regolazione, una ancor più rilevante questione è opportuno porsi e porre all’Autorità: se il loro aumento sia imputabile ad effettivi (o attesi) incrementi dei costi ovvero vi abbia contribuito anche un incremento dei profitti delle imprese. Domanda tanto più legittima alla luce dei risultati di un monitoraggio dei prezzi alle famiglie di luce e gas nei paesi dell’Unione Europea appena licenziato dagli organismi ACER/CEER che raggruppano i regolatori energetici europei (vedi documento in fondo al testo).
Tre le conclusioni di maggior rilevanza che ne derivano. Primo, il margine incassato dalle imprese (mark-up, indicatore approssimativo dei loro profitti) varia molto da paese a paese, in funzione: della struttura del mercato; del potere di mercato delle imprese; dell’efficacia della regolazione nel contrastarlo; mentre i prezzi di acquisto delle materie prime è del tutto similare. Secondo, nelle vendite retail dell’elettricità il mark-up è mediamente doppio di quello nel gas naturale, segno che la concorrenza nel mercato elettrico, a distanza di circa un ventennio dalla sua liberalizzazione, ha attecchito molto meno e molto poco. Terzo: dal 2008 al 2017 il mark-up nell’elettricità è mediamente raddoppiato (a 20 euro/MWh) per poi leggermente flettere nel 2017. Nel gas, per contro, è lievemente aumentato rimanendo comunque sempre al di sotto dei 10 euro/MWh.
il grado di concorrenza nel mercato elettrico è nettamente regredito con un accresciuto potere di mercato degli incombenti
Per i clienti domestici italiani (29,5 milioni) la situazione appare ancor più critica. Nell’elettricità hanno dovuto infatti sopportare un forte aumento dei profitti delle imprese: da valori di molto inferiori ai 20 euro/MWh (2008-2014) a valori di molto superiori (2015-2017). Come emerge dalla figura, colpisce in aggiunta che nello scorso biennio mentre i prezzi all’ingrosso diminuivano, quelli al consumo aumentavano.
Prezzi all’ingrosso e al dettaglio dell’elettricità (sinistra) e del gas (destra) alle famiglie italiane e relativo mark-up (euro/MWh)
Fonte: ACER/CEER
Una divaricazione che si è rafforzata, paradossalmente, più si ampliava il mercato libero (2017: 38,8% dell’insieme dei clienti) e quindi la platea dei suoi venditori (564). Segno che dei benefici della (presunta) maggior concorrenza sul mercato libero non vi è traccia.
Cosa accadrà quando l’intero mercato diverrà libero, con l’eliminazione dei prezzi di tutela fissata per metà 2020? Nel metano le cose sono andate meglio: con margini inalterati e prezzi all’ingrosso decrescenti in parallelo a quelli retail. Conclusione: il grado di concorrenza nel mercato elettrico è nettamente regredito con un accresciuto potere di mercato degli incombenti che ha consentito loro maggiori profitti soprattutto (ma non solo) nella parte energia della bolletta. Dal che un delicato interrogativo: se l’Autorità abbia fatto veramente quanto era in suo potere per “tutelare i clienti finali e garantire mercati effettivamente concorrenziali”, come recita la sua legge istitutiva del 1995 all’articolo 2.
Variazione prezzi elettricità e metano in Italia
Fonte: ACER/CEER
Il documento di ACER/CEER pubblicato il 3 ottobre 2018 è disponibile a questo link:
Annual Report on the Results of Monitoring the Internal Electricity and Natural Gas Markets in 2017 – Electricity and Gas Retail Markets Volume