22 Novembre 2018

Dirsi ambientalista è facile, esserlo molto meno

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I timori sugli eventi catastrofici che potrebbero essere causati dai cambiamenti climatici si sono diffusi nei governi; negli organismi internazionali; nella Chiesa; negli uomini di spettacolo: da Bono Vox a Leonardo Di Caprio a Brad Pitt. Ma, quel che più conta, nelle opinioni pubbliche e nelle società civili.

La metà degli americani si dichiara convintamente ambientalista ma, il 70% ritiene che le politiche climatiche non debbano assolutamente colpire l’economia e le imprese americane

Are We Becoming More Environmental?” titolava una serie di articoli apparsi sul sito di Resources for the Future di Washington. La metà degli americani si dichiara convintamente ambientalista ma pochi collocano l’ambiente tra le priorità politiche rispetto a sicurezza, salute, educazione. La spaccatura tra Democratici e Repubblicani sull’importanza dei cambiamenti climatici (81% vs 30%) o sullo sviluppo delle rinnovabili (58% Democratici) rispetto alle fossili (60% Repubblicani) si ricompone col 70% degli americani che ritiene che le politiche climatiche non debbano assolutamente colpire l’economia e le imprese americane. America first è lo slogan di Donald Trump, in piena continuità però con Bill Clinton (che bocciò il Protocollo di Kyoto) e Barak Obama (che fece fallire la Conferenza di Copenaghen).

In Europa e in Italia più di nove intervistati su dieci ritiene che la salvaguardia dell’ambiente sia importante o molto importante

E a casa nostra, in Europa e in Italia, stiamo diventando tutti più ambientalisti? A leggere i recenti risultati di Eurobarometro, l’istituto di sondaggi ufficiali dell’Unione Europea, la risposta parrebbe affermativa. Più di nove intervistati su dieci, infatti, ritiene che la salvaguardia dell’ambiente sia importante o molto importante. Oltre il doppio degli americani. Secondo un’altra recente indagine della Banca Europea Investimenti (BEI), in collaborazione con YouGov, i cittadini europei (78%) sarebbero più intimoriti e preoccupati degli americani (65%) e cinesi (63%) sui possibili effetti dei cambiamenti climatici.

Come spiegare la maggior sensibilità europea? Non penso giochino maggiori danni che il Vecchio Continente ha subito eventi atmosferici – sono stati superiori quelli americani– ma piuttosto l’ultra catastrofismo che impera sui nostri media. Su La Repubblica del 16 aprile 2017, giorno di Pasqua (!), si sostenne, ad esempio, che un quinto dei siti del patrimonio Unesco avrebbe potuto scomparire per l’innalzamento dei mari entro….2000 (duemila) anni! Nell’elenco l’Italia si piazzava prima con la Torre di Pisa, solo terza l’America con la Statua della Libertà! Ridicolo e controproducente perché alzando l’asticella del catastrofismo si genera, come dicono i sondaggi americani, una reazione di rigetto col diminuire di chi ne attribuisce la responsabilità alle attività umane.

Una maggior apparente preoccupazione sui cambiamenti climatici non è poi sinonimo di una maggior accettazione delle politiche per combatterla, come insegna la protesta popolare di questi giorni in Francia contro gli aumenti della carbon tax. Quando si tratta di paure, si sa, l’italiano risponde presente, tanto da far risultare l’Italia tra i paesi UE più preoccupati dei cambiamenti climatici (83%) seppur con un discreto divario tra vecchia e nuova generazione per quanto riguarda le cause che li originano. Il 69% degli intervistati tra i 18 e i 34 anni ritiene infatti che il climate change sia innescato dalle attività dell’uomo, forse perché destinato a subirne maggiormente le nefaste conseguenze, contro il 52% degli over 65.

Sulla percezione degli effetti diretti dei cambiamenti climatici vi è un’evidente spaccatura tra Nord e Sud Europa.

Tornando all’Eurobarometro, vale la pena soffermarsi su un altro dato: la percezione degli effetti diretti dei cambiamenti climatici. Alla domanda “Pensa che le problematiche ambientali (non solo quindi emissioni di gas serra, NdA) abbiano un impatto diretto sulla sua vita e sulla sua salute?” vi è un’evidente spaccatura tra Nord e Sud Europa. Con greci, portoghesi, spagnoli e italiani che affermano (90% e oltre) di subirne direttamente gli effetti, mentre scandinavi, tedeschi, olandesi e britannici si dicono molto meno preoccupati.

Anche sulla definizione di quali siano i problemi ambientali più critici non vi è uniformità di vedute: poiché se per la maggior parte dei tedeschi, olandesi e scandinavi il climate change rappresenta la prima sfida da affrontare, per greci e italiani la lente si sposta sull’inquinamento atmosferico e relativi danni alla salute, specie nelle città, e sulla gestione dei rifiuti. Una maggioranza omogenea e schiacciante (67%) è invece quella che individua nel governo comunitario l’istituzione che più dovrebbe operare per la salvaguardia ambientale, contro una minoranza (29%) convinta che debbano essere i governi nazionali, con l’Italia che non fa eccezione (65% contro 30%). Peccato tuttavia che un’altrettanta numerosa maggioranza degli europei (62%) giudichi insufficienti gli interventi comunitari.

Stando ai sondaggi le tematiche ambientali troverebbero orecchie attente nei cittadini che si apprestano a votare alle elezioni europee nel maggio 2019, ma temo che questo difficilmente accadrà perché argomento politicamente ed elettoralmente rischioso e costoso

Da questi sondaggi si evince comunque che le tematiche ambientali troverebbero orecchie attente nei cittadini che si apprestano a votare alle elezioni europee nel maggio 2019. Resta da capire se le forze politiche coglieranno questa esigenza confrontandosi apertamente sulle armi che intendono utilizzare per combattere i cambiamenti climatici. Temo che questo difficilmente accadrà – come verificatosi nelle elezioni americane del 2016 e in quelle tedesche del 2017 – perché argomento politicamente ed elettoralmente rischioso e costoso. Dirsi ambientalisti è facile e non costa nulla. Esserlo per davvero è altra cosa.


1 Commento
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