Anche se il suo ruolo e la sua influenza sono oggi più che mai in discussione, il mese di dicembre si è sicuramente aperto all’insegna dell’OPEC. A tre giorni dall’attesissimo meeting del 6 dicembre della coalizione OPEC Plus, composta da 25 paesi tra OPEC e non-OPEC, arriva un annuncio del tutto inatteso. Da gennaio 2019, il Qatar non sarà più un membro dell’Organizzazione dei paesi produttori di petrolio. È il primo paese del Medio Oriente ad abbandonare il ‘cartello’.
Membro dal 1961, il Qatar ha ufficialmente motivato la sua decisione per concentrarsi sulla produzione di gas naturale liquefatto, di cui è leader mondiale con circa un quarto di tutti gli scambi internazionali. Ma poche ore dopo questo primo statement diventa chiaro – semmai già non lo fosse – che una simile scelta ha una ratio principalmente politica: l’ormai irrecuperabile rapporto con l’Arabia Saudita che da giugno 2017 – insieme a Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto – aveva posto una specie di embargo sul paese, accusato di sostenere il terrorismo e di essere troppo vicino all’Iran.
Il Qatar è l’11° produttore di petrolio dell’OPEC, contando per meno del 2% della produzione totale e senza rilevanti prospettive di crescita: la sua uscita non avrà quindi un effetto rilevante né sull’offerta complessiva del cartello né sui tagli alla produzione concordati in seno all’OPEC Plus. Tuttavia, il simbolismo insito in questa decisione è profondo, specie per un gruppo che si è sempre vantato di anteporre alle questioni politiche i comuni interessi economici. Anche in caso di eventi estremi come la Guerra Iran-Iraq degli anni ‘80 o l’occupazione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990-1991, i produttori del cartello sono sempre rimasti uniti cooperando in materia di politica petrolifera. Analogamente, nel 2003, durante la II Guerra del Golfo, gli Stati Uniti provarono a convincere l’Iraq a uscire dall’OPEC ma Baghdad rifiutò. Ancora, Iran e Arabia Saudita sono rivali da tanti anni, sedendo agli opposti nelle guerre civili di Siria e Yemen, ma sono sempre stati in grado di negoziare compromessi coesistendo all’interno del gruppo.
L’uscita del Qatar in un contesto molto meno estremo come quello attuale è stata quindi interpretata come la prova della sempre minore influenza dell’OPEC sul sistema petrolifero mondiale. Da quando, nel 2016, diversi paesi non membri hanno iniziato a collaborare con il Gruppo, i negoziati diretti tra Russia e Arabia Saudita hanno spesso bypassato il tradizionale processo decisionale del ‘cartello’ e il forte aumento della produzione del Nord America ha ulteriormente ridotto il potere del Medio Oriente.
Vertice OPEC Plus: finalmente l’accordo sui tagli
alla produzione è stato raggiunto
A rafforzare questa percezione, l’esito del tanto atteso vertice dell’OPEC Plus tenutosi a Vienna il 6-7 dicembre, che ha sancito la trasformazione dell’alleanza Arabia Saudita-Russia in un duopolio in cui il Cremlino ha un peso cruciale. Dopo un giorno intero di consultazioni senza addivenire ad alcun risultato, è arrivato il comunicato ufficiale tanto faticosamente raggiunto. L’Accordo prosegue almeno fino ad aprile 2019 – quando verrà sottoposto a riesame – con un taglio superiore alle attese e pari a 1,2 mil. bbl/g rispetto alla produzione di ottobre 2018, in luogo di quella di ottobre 2016 sinora assunta a riferimento.
All’OPEC spetta la riduzione più consistente (800.000 bbl/g) e pare indubbio che sarà in gran parte Riad ad accollarsela, dati i pochi margini di manovra della gran parte degli altri paesi e l’esenzione che continua a riguardare l’Iran – soggetto a sanzioni – e Libia e Nigeria, afflitti da tensioni geopolitiche. All’esterno del cartello, ancora non si conosce con esattezza l’entità del taglio dell’attore principale, la Russia, anche se le prime notizie indicano 200.000 bbl/g.
Ora ci si attende una reazione positiva dei mercati, anche se – si sa – spesso le logiche dell’oil market non hanno nulla di logico. Sicuramente il ruolo dell’OPEC sta attraversando una fase critica con paesi membri in gravi difficoltà, rivalità interne che spesso prendono il sopravvento sugli interessi comuni, un leader de facto che non riesce più ad agire da solo abbisognando sempre di più dell’appoggio della Russia, anche in ragione delle forti pressioni di matrice USA. E la reazione di questi ultimi all’Accordo raggiunto vi è da ritenere non sarà delle migliori.
Il post è di Lisa Orlandi, Analista petrolifera di RIE e Direttore Responsabile di RiEnergia
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