4 Dicembre 2018

COP24: il mondo è malato, come curarlo?

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Una prima domanda che sorge sull’intera questione della lotta al cambiamento climatico è se davve­ro sia possibile governare la transi­zione energetica. Può uno Stato o un club di paesi orientare un pro­cesso epocale al termine del quale l’intero paradigma industriale ed energetico del Pianeta dovrà es­sere rivoluzionato? Davvero il pubblico può orien­tare il privato in tale misura? Qui non si parla di azioni di policy cir­coscritte, della cui possibilità di successo vi sono ormai considere­voli prove. Piuttosto, siamo di fron­te a un esperimento – necessario e inevitabile – mai tentato prima dal genere umano: accelerare il deces­so di un’era della storia dell’uomo – quella degli idrocarburi e del mo­tore a scoppio – e maieuticamen­te partorirne un’altra, quella delle rinnovabili.

Transizione energetica: un esperimento necessario e inevitabile mai tentato prima dal genere umano: accelerare il deces­so di un’era della storia dell’uomo –idrocarburi e mo­tore a scoppio – e maieuticamen­te partorirne un’altra, quella delle rinnovabili

Occorre tenere a mente che è questa la manovra che si sta tentando. Il ricorrente riferimento alla vinta battaglia del buco dell’o­zono, e al Protocollo di Montreal quale emblema di quella vittoria, non è pertinente. Il bando dei clo­rofluorocarburi ha rappresentato un intervento chirurgico assai cir­coscritto che ha permesso di risol­vere un problema certamente com­plesso, ma al tempo spesso assai specifico. Specifiche erano le cause – i clorofluorocarburi – e a porta­ta di mano le soluzioni alternative. Certo, le policy hanno dovuto atti­varle e sono state efficaci nel farlo, ma l’impresa non è affatto compa­rabile alla questione climatica.

Siamo di fron­te a un uomo fortemente obe­so deve tornare in forma e deve farlo subito, pena il decesso, ma l’es­sere indugia in cibo, alcol e fumo e non dà segni di volersi allontanare dal suo stile di vita nocivo

Qui non c’è una cisti da asportare, ri­solvendo il problema una volta per tutte. Piuttosto, siamo di fronte al corpo di un uomo fortemente obe­so – una massa di carne e muscoli di 200 chilogrammi, si passi l’im­magine – che deve tornare in forma e deve farlo subito, pena il decesso. Non c’è tempo da perdere, ma l’es­sere indugia in ciò che ha sempre fatto – cibo, alcol e fumo – e non dà segni di volersi allontanare dal suo stile di vita nocivo. Sì, di tanto in tanto va in palestra – le rinnovabi­li e l’efficienza energetica – e, negli ultimi tempi, comincia a provarci un po’ di gusto, tuttavia il bilan­cio calorico – le emissioni – pende ancora straordinariamente dalla parte sbagliata. Al netto di fortuite carenze di cibo che ne hanno ridot­to la massa in periodi assai circo­scritti – le crisi economiche – il suo peso sale irrimediabilmente. Nei tre anni dal 2014 al 2016 la crescita si era stabilizzata tanto da far dire a parecchi medici che il punto di massimo della parabola era stato raggiunto. Poi, purtroppo, il peso invece di scendere ha ripreso a sa­lire, e le perplessità sono tornate.

Torniamo dunque alla domanda originaria: davvero un individuo del genere può essere salvato dalla scienza e dalla volontà dell’equipe sanitaria (l’intervento pubblico)? Non sarà piuttosto la sua stessa vo­lontà – il privato – l’elemento chia­ve della sua salvezza?

 

Tratto dall’articolo La SEN e oltre: cosa significa per l’Italia abbattere le emissioni di Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca pubblicato su Energia 4.18

Enzo Di Giulio è economista, preside della Scuola Enrico Mattei di Eni Corporate University e membro del Comitato Scientifico di Energia.

Le opinioni espresse non vanno ascritte all’azienda nella quale lavora.


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