Un libro importante, costruito con intelligenza dai curatori, cui hanno contribuito venti studiosi, per lo più accademici italiani ed esteri. L’obiettivo comune era quello di rileggere gli accadimenti che precedettero e seguirono il contro-shock dei prezzi del petrolio del 1985-1986, quando precipitarono a poco meno di 15 doll./bbl rispetto agli oltre 32 del 1982 (Brent Dated).
Di quel crollo del 75%, tenendo conto dell’inflazione, il volume indaga a fondo, grazie ad una ricchissima bibliografia, le cause che ne furono all’origine e gli effetti che ne seguirono. Uno sforzo di ricerca che si colloca sulla scia della rifioritura, dopo la straordinaria stagione degli anni Sessanta-Settanta, degli studi storici dell’energia (Fouquet, Smil, Grubler, Ayres, Warr). Studi accomunati dall’interesse ad analizzare le passate «transizioni energetiche» nelle fonti primarie e soprattutto nei servizi energetici finali, al fine di trarne insegnamenti su quella verso il dopo-fossili che si ritiene possa compiersi nell’arco di pochi decenni.
Uno sforzo rilevante se si considera, da un lato, la scarsa attenzione posta a quello che può ritenersi un «punto di discontinuità» nella moderna storia dell’energia e, dall’altro, il fatto che ad affrontarlo siano studiosi di scienze sociali e politiche che attribuiscono a quegli accadimenti una significatività molto più ampia di quella loro riservata dagli economisti. Convinti che il crollo dei prezzi che seguì la loro esplosione nel 1973-1974 e ancora nel 1978-1979, dovesse sostanzialmente ricondursi al trionfo delle logiche di mercato, prima sul monopolio delle oil majors, quindi sul fallito cartello dell’OPEC.
La linea di lettura che attraversa i 17 saggi è l’influenza che sui prezzi ebbe invece una serie di altri fattori, per cui «market logic is only one of the many possible raison d’etre of oil prices» (pag.17). Fattori quali: la politica economica internazionale, soprattutto americana; il ruolo del dollaro e della finanza internazionale (trattati rispettivamente da Spiro e Schenk); le relazioni conflittuali tra le grandi potenze; le strategie di risposta delle oil majors alla disintegrazione dovuta alla loro espulsione dalla aree di produzione che dominavano (Petrini). Ancora: l’evolversi dei regimi istituzionali nei paesi occidentali: dall’interventismo pubblico, che precedette la rivoluzione reaganiana, all’ideologia neo-liberista da allora imperante. Strumentalmente utilizzata, scrive David E. Spiro, dai policy makers, che «riconducevano qualsiasi cosa accadesse ai meccanismi di mercato, anche quando era l’esito del potere dello stato» (p. 36).
Il volume si articola in cinque parti. Nella prima si rileggono i vari regimi di fissazione dei prezzi del petrolio – non di mercato (posted prices) – che si sono succeduti sino agli anni Ottanta (Favero e Faloppa) in funzione dei rapporti di collaborazione tra le oil majors, dei loro assetti organizzativi (integrazione verticale e orizzontali), dei loro rapporti con i paesi produttori basati sullo strumento delle concessioni, più estorte che negoziate. Ne risulta confermata la teoria di Paul Frankel (pur poco richiamata) secondo cui l’industria petrolifera «is not self-adjusting»: incapace, cioè, per le sue strutturali condizioni di base, di ritrovare un nuovo «punto di equilibrio» per la scarsa elasticità ai prezzi sia della domanda che dell’offerta. Derivandone il succedersi di cicli di scarsità e oversupply. A suo avviso, in assenza di una qualche forma di «coordinamento oligopolistico» dell’offerta, quale quella che si ebbe negli anni Cinquanta-Sessanta, il mercato del petrolio non può che essere attraversato da instabilità, volatilità, «anarchy» come ebbe a scrivermi in un appunto nel febbraio 1979 (ero stato suo allievo alla Scuola Enrico Mattei dell’Eni).
Nella seconda e terza parte si analizza il ruolo che i principali paesi produttori ebbero nel generare il contro-shock, ma anche nel subirne i negativi effetti. Paesi divisi tra quelli membri dell’OPEC – Arabia Saudita (Al-Moneef), Iran (Castiglioni), Irak (Al–Marashi) – e quelli esterni all’organismo di Vienna, come Norvegia (Einar Lie, Dag Ha rald Claes) e Gran Bretagna (Chick). Paesi che contribuirono alla drastica riduzione della domanda che si rivolgeva ai paesi OPEC, specie all’Arabia Saudita, spingendola alla decisione di lasciare al mercato, attraverso il net-back pricing, la fissazione dei suoi prezzi di esportazione. Gli altri produttori non poterono che seguirla.
Nella quarta parte si analizzano le ragioni che indussero Henry Kissinger, allora Segretario di Stato americano, ad istituire l’International Energy Agency di Parigi che riunisse i paesi consumatori occidentali da contrapporre ai paesi produttori riuniti nell’OPEC. Il contro-shock significò anche l’avvio di un mutamento di cultura dei consumatori e dei loro modelli di consumo, analizzati nel caso americano (Bini), che si sarebbe diffuso negli anni a venire con l’irrompere della tematica ambientale nelle preoccupazioni di governi e opinioni pubbliche, che dettero dell’eforigine alla nascita in America dei movimenti ambientalisti (Santese), anche grazie ai contributi del Club di Roma e a quelli seminali di Barry Commoner e Amory Lovins.
Si è detto che la rilettura dell’intreccio di accadimenti che ruotò intorno al contro-shock del 1985- 196 assume un valore non solo storico per costituire utile riferimento per comprendere i fatti dei giorni nostri. Due in particolare. In primo luogo, l’instabilità, volatilità, incertezza che attraversa il mondo del petrolio ed i suoi prezzi balzati da livelli sotto i 20 doll./bbl nel 1999, su cui stagnavano dal 1987, a punte prossime ai 150 nel 2008 prima dell’esplodere della Grande Crisi finanziaria. Ne seguì un crollò a minimi sui 30 doll./bbl e successiva ripresa sino a 115 nel 2014, quando si avviò un nuovo ciclo depressivo motivato dall’oversupply generato dalla shale revolution americana a minimi di 20 doll./bbl per poi rimbalzare agli attuali 75-80.
Secondo tema di confronto è la complessità della «transizione energetica» che viene auspicata come risposta alla lotta ai cambiamenti climatici. Una risposta che fa perno essenzialmente sulla transizione dalle fonti fossili alle nuove rinnovabili, a partire dal solare che già negli anni Settanta sotto la Presidenza di Jimmy Carter veniva proiettata come la fonte su cui costruire il futuro energetico del paese (Basosi). Non fu così, nonostante i 10 miliardi di dollari con cui il Department of Energy ne finanziò la R&S. Una lezione di cui bisognerebbe far tesoro nel momento in cui si vanno destinando centinaia di miliardi di dollari di incentivi alle rinnovabili, che tuttavia restano ancora al palo nel rapporto con le ancora dominanti fonti fossi: 3% vs 85%.
Duccio Basosi, Giuliano Garavini, Massimiliano Trentin (eds),
Counter-Shock: The Oil Counter-Revolution of the 1980s
I.B.Tauris & Co., 2018, pp.352, 125 dollari.
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