Nella percezione generale – come diffusa dai media – il carbone è inesorabilmente sulla strada del tramonto. Una percezione che tuttavia non ha riscontro con la dura realtà dei fatti.
Non vi è dubbio che la dinamica dei suoi consumi sia andata nel tempo fortemente attenuandosi: passando nei due trascorsi decenni da un +50% tra 1997 e 2007 (+1.189 mil. tep) ad appena un +8% tra 2007 e 2017 (+280 mil. tep) su scala mondiale. Un tracollo tuttavia insufficiente a consentire quella svolta auspicata nel recente Special Report dell’IPCC per rendere il flusso di emissioni compatibile con una riduzione del surriscaldamento entro 1,5°C.
Una svolta che dipende in larga parte dal futuro del carbone. A deciderlo saranno gli Stati, ma anche il mercato, le esigenze di sviluppo dei paesi emergenti, la disponibilità interna di carbone (Cina e India producono il 55%del totale mondiale); la molto minor rischiosità politica.
La Gran Bretagna, lo si è scritto in un altro post, ha deciso ad esempio il phase-out del carbone entro il 2025 ma dalla metà dello scorso anno i suoi consumi hanno ripreso a crescere per il forte balzo dei prezzi relativi del metano. Negli Stati Uniti il mercato ha invece favorito anche nel 2018 un ulteriore riduzione dei consumi.
La Cina consuma tanto carbone quanto il resto del mondo
A questo si contrappongono i record di produzione ed esportazione di carbone della Russia e soprattutto la sensibile crescita dei suoi consumi in India e Cina (insieme contano per il 62% del totale mondiale). Riguardo l’India le previsioni sono di un sostanziale raddoppio dei suoi consumi entro il 2040 a poco meno di 1 miliardo di tonnellate.
Quanto alla Cina consuma tanto carbone quanto il resto del mondo. Alimenta così massimamente le emissioni di anidride carbonica che contano per circa il 28% del totale mondiale, contro il 15,2% dell’America e un mero 10,6% dell’Unione Europea (così che un calo del 10% inciderebbe sulle emissioni attuali per un mero 1% e in futuro per molto meno).
Mentre a Katowice i più si dicevano soddisfatti e plaudivano al poco o niente uscito dalla COP24, con non isolati plausi all’uso del carbone, il Global Carbon Project forniva le prime stime del nuovo record delle emissioni registrato nel 2018 in aumento del 2,7% sul 2017, dopo un +1,6% nel 2017 e un precedente triennio di stagnazione.
A questo aumento hanno concorso tutte le grandi aree: India +6,3%, Cina +4,7%, America +2,5%; Europa ‘flat’ dopo un decennio di forti cali. Le cause in ordine di importanza:
- maggior uso del carbone in Cina e India;
- accresciuti impieghi di petrolio nei trasporti;
- maggior ricorso al gas dell’industria.
Le rinnovabili sono aumentate ma in misura del tutto insufficiente a contro-bilanciare il maggior uso delle fossili. Il rapporto Bloomberg sugli investimenti nelle rinnovabili nel 2018 ha registrano un loro calo a livello mondiale dell’8%, con un tracollo del 32% in Cina. È pur vero che in termini di capacità il taglio è inferiore per il drastico calo dei capex, ma è anche vero che dal 15% al 20% della potenza elettrica solare ed eolica cinese, la più elevata al mondo, è inutilizzata per l’inadeguatezza delle rete elettrica.
Le sorti del Pianeta dipendono sostanzialmente dalla Cina: si guardi al carbone o alle rinnovabili
Le sorti del Pianeta dipendono sostanzialmente dalla Cina: si guardi al carbone o alle rinnovabili. Nel 2014 il Primo Ministro di Pechino dichiarò “guerra all’inquinamento così come dichiarammo guerra alla povertà”. Agli impegni interni per ridurre il ricorso al carbone, previsto in calo solo dal 2030, si contrappongono tuttavia i suoi impegni esterni per promuoverne altrove l’utilizzo del carbone.
Nei tre anni trascorsi dall’Accordo di Parigi sono stati investiti nel mondo 478 miliardi dollari nei principali 120 impianti a carbone: in larga parte grazie alla Cina che ha fornito le coperture assicurative e al Giappone che ha fornito i finanziamenti. Le compagnie cinesi stanno sostenendo più di 200 nuove centrali a carbone progettate o in costruzione nei paesi meno sviluppati. Quel che rende la Cina, ha giustamente denunciato il New York Times, “ipocrita, se non coloniale”.
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