Il Vocabolario Treccani definisce il termine strategia come “La tecnica di individuare gli obiettivi generali di qualsiasi settore di attività pubbliche e private, nonché i modi e i mezzi più opportuni per raggiungerli”. Una definizione che ben si adatta a quel che si indica come ‘Strategia Energetica Nazionale” (SEN): documento programmatico in cui le autorità pubbliche fissano gli obiettivi di interesse generale (sicurezza, sostenibilità, competitività) che si dovrebbero perseguire in campo energetico-ambientale e, insieme, i modi/mezzi per conseguirli.
Condizione essenziale perché un documento possa ritenersi tale e tale essere considerato dall’insieme dei soggetti – privati e pubblici – che vi daranno seguito, è poter far conto sulla credibilità della politica. Per il sostanziale fatto che gli impegni programmatici da essa assunti costituiscono la base di riferimento delle decisioni degli agenti economici e istituzionali, che ne valutano fattibilità e convenienza facendo conto sul loro pieno rispetto. Ad esempio, che le autorità competenti concedano le autorizzazioni per realizzare quel che è stato indicato come strategico; che ti riconoscano gli incentivi promessi¸ che non assumano decisioni contradditorie. E via andare.
La credibilità politica implica, in sostanza: (a) che una strategia energetica sia proiettata nel lungo termine, dati i lunghi tempi di realizzazione delle decisioni (da noi biblici) o entro cui potrebbero verificarsi eventi temuti (come i cambiamenti climatici); (b) che essa sia impermeabile al mutare delle maggioranze politiche così da assicurare continuità alle azioni intraprese o da intraprendere. Condizioni che nel nostro paese non possono dirsi rispettate.
Dopo un ventennio senza documenti programmatici in campo energetico, visti i totali fallimenti di quelli precedenti – i Piani Energetici Nazionali (1975, 1977, 1981, 1985, 1988) pur approvati dal Parlamento in modo plebiscitario – il secondo governo Berlusconi inserì in una legge (la n. 133/2008) la necessità di elaborarne uno nuovo per dar seguito all’illusoria speranza di una “rinascita nucleare”. Su cui, come è noto, il referendum del 2011 pose una pietra tombale. Riemerse dalle nebbie del passato, di SEN ne abbiamo avuto addirittura tre nel giro di un quinquennio: nel 2013, Ministri Passera e Clini, Governo Monti, 139 pagine; nel 2017, Calenda e Galletti, Governo Gentiloni, 308 pagine, nel 2018, Di Maio, Costa, Toninelli, Governo Conte, 238 pagine.
3 strategie in 5 anni sono un contro-senso (nonché un record mondiale) perché si negano quelle condizioni di continuità temporale, credibilità e certezza politica che ne dovrebbero costituire il presupposto
Mentre i primi due documenti sono stati siglati solo dai responsabili di due dicasteri, senza quindi avere alcun valore normativo, il terzo – ribattezzato “Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima” (PNIEC) – è stata siglato da tre dicasteri e inviato a Bruxelles, in ottemperanza agli impegni comunitari, per essere formalizzato alla fine dell’iter europeo, dal Governo con valore normativo vincolante (e sanzionabile).
Tornando a quanto detto, va da sé che tre strategie in cinque anni sono un contro-senso (nonché un record mondiale). Perché si negano alla radice quelle condizioni di continuità temporale, di credibilità e certezza politica che ne avrebbero dovuto costituire il presupposto. Se un qualsiasi operatore avesse adottato una decisione di investimento facendo conto su quel che vi si affermava e verso cui si impegnava il Governo, avrebbe rischiato, perdendoli, un mare di soldi. Quel che è avvenuto con l’eliminazione o l’inserimento nelle varie SEN di opzioni valutate in un breve arco di tempo prima strategiche poi non strategiche. Vale citarne due, per dar conto della labilità schizofrenica della nostra politica e di come nessun operatore avveduto possa più farvi conto.
La prima è l’annosa questione della valorizzazione delle risorse di idrocarburi nel nostro paese. Dopo decenni di indifferenza dei vari governi, la SEN 2013 prevedeva uno “sviluppo di risorse energetiche e minerarie nazionali strategiche” per 15 miliardi euro di investimenti che avrebbero consentito, vi si affermava, di raddoppiare in pochi anni la produzione di idrocarburi in termini assoluti (a 23 mil. tep) e in percentuale sul fabbisogno energetico nazionale (14%). In piena continuità, il Governo Renzi riaffermava questa linea programmatica nella legge ‘Sblocca Italia’ del novembre 2014 che ribadiva “l’interesse strategico e il carattere d’urgenza dell’attività upstream”. Sappiamo come è andata a finire. Molte imprese estere e italiane, credendo nei (falsi) impegni della politica, vi hanno investito copiosamente nell’intera filiera petrolifera: dalla ricerca, alla costruzione di impianti strumentali, alla produzione di servizi.
Nonostante la sconfitta del referendum No-Triv del 2016, operare in Italia in tale settore è divenuto sempre più impossibile così che la maggior parte delle imprese estere vi ha rinunciato (con perdita di 10-15 miliardi euro di progetti), con pesanti ricadute sui distretti nazionali. Chi vi è rimasto lo ha fatto perché l’uscita sarebbe stata più onerosa del restare (tribolando). A suggellare questo dietro front era la SEN 2017 che non faceva alcun riferimento alla ricerca e produzione di idrocarburi, non perché non fossero ritenute utili al Paese ma – come privatamente affermavano – perché divenute politicamente urticanti.
La seconda ‘strategia negata’ che vale rammentare è la realizzazione del gasdotto South Stream che avrebbe dovuto veicolare il metano russo all’Europa attraverso il Mar Nero. Un’opera ritenuta altamente strategica nella SEN 2013, sostenuta dal successivo Governo Renzi ancora a metà del 2014, dichiarato però a novembre di quell’anno non più strategico per essere sostituito quanto a strategicità dal…TAP! Dopo 5 anni di tribolazioni si cancellava il South Stream – cui avrebbe rinunciato lo stesso Putin – a favore del TAP, che da 5 anni vive non minori tribolazioni, pur essendo stato considerato strategico dalla SEN 2017.
L’asticella degli obiettivi è stata modificata verso l’alto o il basso senza ne sia data ragione e in assenza di una qualsiasi analisi di fattibilità o magari di costi/benefici oggi così di moda
Nell’accingerci, in conclusione, a leggere – per quanto sia leggibile – e valutare la proposta di SEN licenziata il giorno di San Silvestro, riteniamo necessario tener bene a mente le passate infauste esperienze. Da una sua veloce scorsa appaiono ancora una volta depennate o svilite opzioni strategiche ritenute tali nei precedenti documenti o anche in bozze di quello attuale. L’asticella degli obiettivi è stata modificata verso l’alto o il basso senza ne sia data ragione e in assenza di una qualsiasi analisi di fattibilità o magari di costi/benefici oggi così di moda.
Al di là di tutto questo, una domanda incombe per chi – imprese, consumatori, enti locali, regolatore, etc. – dovrà dar seguito a quanto ‘programmato’: è sufficiente una nuova SEN, o PNIEC che dir si voglia, perché la politica recuperi la credibilità perduta, nel labile assunto che questa volta gli impegni che ha assunto siano rispettati? Perché, come recita un aforisma attribuito ad Abraham Lincoln: “Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo”.
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