Se si avesse voglia di scherzare verrebbe da dire ‘meglio tardi che mai’, ma trattandosi di clima non è il caso. La notizia è che la Germania del IV governo di Angela Merkel sembra stia per decidere di uscire dal carbone. Decisione che segue le prime raccomandazioni formulate dalla Commissione istituita nel 2016, la Commission on Growth, Structural Change, and Employment, con la missione di definire una exit strategy dal carbone che minimizzasse l’impatto per le industrie (estrattrice ed elettrica), l’occupazione, i territori (North Rhine-Westphalia e Saarlanche).
Nonostante la reputazione ‘green’ che la Germania si è data in questi anni – riuscendo ad imporre, via Bruxelles, all’intera Europa la sua strategia ed acquisendo posizioni di leadership nell’industria cleantech – il perno del suo sistema energetico è sempre stato e continua ad essere il carbone. Specie dopo la frettolosa decisione presa nel 2011 da Angela Merkel di uscire dal nucleare.
Il carbone ha alimentato il miracolo economico tedesco – il ‘German Wirtschaftswunder’ – dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale ed essere stato nell’intreccio con l’acciaio l’asse portante della potenza economica nazista. Non a caso il primo atto del cammino europeo fu, su sollecitazione americana, l’istituzione nel 1951 della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) che aveva come obiettivo la costruzione di un mercato unico del carbone impedendo il ripetersi dei grandi cartelli industriali cari alla politica tedesca.
Nel 2018 il carbone in Germania ha alimentato 84 centrali fornendo il 36% della generazione elettrica ed il 21% di tutti i consumi primari di energia
Venendo all’oggi, in Germania nel 2018 il carbone ha alimentato 84 centrali fornendo il 36% della generazione elettrica (35% rinnovabili, 12% nucleare, 13% gas metano, 4% altri) ed il 21% di tutti i consumi primari di energia. La forte penetrazione delle rinnovabili elettriche ha paradossalmente avvantaggiato il carbone a danno del metano – il cosiddetto “Energiewende Paradox” – causando un aumento delle emissioni di CO2. Penetrando a costi marginali nulli le rinnovabili hanno infatti abbassato i prezzi all’ingrosso dell’elettricità (divenuti in certi momenti negativi) creando un forte oversupply di elettricità (per l’8% esportata) e mettendo fuori mercato il metano a vantaggio della più conveniente lignite che ha fornito il 23% della generazione elettrica contro il 13% dell’hard coal.
Nonostante gli 86 miliardi di tonnellate di riserve di hard coal, solo 36 miliardi sono considerate estraibili a costi tuttavia insostenibili nel confronto con i prezzi internazionali di mercato (180 euro/tonn vs 76). Da qui, la straordinaria massa di sussidi (altra costante della politica tedesca) elargiti all’industria estrattrice – 337 miliardi di euro dal 1970 al 2016 (7,3 all’anno) – con l’impegno a ridurli in modo però molto graduale per coprire i costi per la dismissione e bonifica delle miniere, le cui ultime due sono state chiuse nel 2018 nella Rhur.
La Germania continua a essere la prima produttrice al mondo di lignite combustibile di molto minor contenuto calorico e molto maggior contenuto carbonico
Altro il discorso per la lignite di cui la Germania continua a essere la prima produttrice al mondo (seguita da Cina, Russia, Stati Uniti). Combustibile di molto minor contenuto calorico e molto maggior contenuto carbonico, di elevata umidità e peso, così da esserne costoso il trasporto, viene estratto in miniere a cielo aperto e bruciato in centrali elettriche limitrofe. 7 di queste rientrano tra i 10 impianti più inquinanti dell’intera Europa! (Europe’s dirty 30).
Ad oggi, in Germania sono state sacrificate per la sua estrazione circa 180 mila ettari (pari all’estensione della provincia di Ravenna) e 126 villaggi nella sola Lusatia. Le sue riserve ammontano a 31 miliardi di tonnellate con una produzione che si aggira sui 170 mil. tonn. Nuove miniere a cielo aperto continuano ad essere aperte con villaggi distrutti, chiese abbattute, popolazioni allontanate.
Ma, come si diceva all’inizio, la Germania ha deciso di ravvedersi: di uscire dal carbone, però con molta calma e giudizio. Lo farà, se e quando il Governo accoglierà appieno le raccomandazione della Commissione, di chiudere le centrali a carbone in fasi successive entro il …2038. Cioè tra circa 20 anni!!
L’uscita dal carbone e dal nucleare penalizzerà l’economia e l’industria tedesca che già oggi registra i più elevati prezzi finali dell’energia elettrica
Così rendendo molto più problematici gli impegni nella lotta ai cambiamenti climatici, ricordando Angela Merkel che nel firmare l’Accordo di Parigi sostenne che “mette al sicuro le condizioni di vita di miliardi di persone per il futuro”.
Non ultima riflessione è legata al fatto che l’uscita dal carbone e contestualmente dal nucleare penalizzerà l’economia e l’industria tedesca che già oggi registra i più elevati prezzi finali dell’energia elettrica, quale somma dei più bassi costi dell’energia associati però alle più elevate tasse.

Fonte: Commissione Europea
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