20 Febbraio 2019

Nell’energia pubblico-privato vince

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Pubblico e privato continuano a dividere gli economisti su chi meglio assolva al compito di promuovere l’innovazione. Scontro che da ultimo ha visto due economisti del nostro Paese.

Nell’affermare il ruolo positivo dello Stato nell’attivazione e sviluppo dei processi innovativi, l’anglo-italiana Mariana Mazzucato ha preso in esame il caso dell’iPhone, frutto, a suo avviso, delle scelte tecnologiche del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per lo sviluppo di nuove tecnologie per uso militare (DARPA).

Alberto Mingardi, mente brillante dell’Istituto Bruno Leoni, respinge fermamente questa tesi sostenendo che, se anche fosse, l’azione pubblica sarebbe stata del tutto casuale, non voluta, non avendo chiaro “chi le ha introdotte il percorso che avrebbero preso”. Al contrario di quel che accade, a suo dire, per l’azione orientata al profitto delle imprese private.

Insomma, secondo i liberisti il privato è bello, il pubblico quasi mai, e comunque del tutto causale. Se si studiasse in maniera più approfondita il caso dell’energia la loro granitica sicurezza sul ruolo del privato e dello Stato traballerebbe.

Perché non vi è fonte di energia in cui lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, non abbia avuto una funzione importante. Così è stato nel nucleare civile attraverso le applicazioni militari, il finanziamento della R&S e delle centrali, proprietà pubblica, regolazione della sicurezza, cooperazione internazionale, etc.

Non solo nel passato, anche venendo all’oggi l’intervento pubblico nel mondo dell’energia è importante se non determinante

Nella stessa industria petrolifera – al di là della decisione nel 1911 della Corte Suprema di smembrare il monopolio della Standard New Jersey in 34 parti – l’intervento pubblico è stato cruciale nel garantire protezione alle imprese, in risposta alla loro domanda di regolazione.

Un classico caso cui applicare la teoria dei gruppi di interesse sviluppata dalla ‘Scuola di Chicago’, secondo cui ben organizzati e compatti gruppi di interesse operano per chiedere all’amministrazione statale una regolazione che riduca una concorrenza considerata distruttiva per accrescere o tutelare i loro profitti. Quel che avvenne col contingentamento delle importazione di petrolio e derivati o con la minuziosa regolazione della produzione dei vari giacimenti.

Ciò non sminuisce minimamente il ruolo che il privato avrebbe avuto, ma senza l’intervento dello Stato lo sviluppo dell’industria petrolifera non sarebbe avvenuto con le modalità che abbiamo osservato.

Anche venendo all’oggi l’intervento pubblico è stato importante se non determinante nel mondo dell’energia. Si guardi alle due rivoluzioni energetiche di questo scorcio della storia: nuove rinnovabili e shale revolution. Durante la sua Presidenza Jimmy Carter (1977-1981) quadruplicò gli stanziamenti pubblici alle rinnovabili timoroso della minaccia OPEC e sicuro che “no-one can embargo the sun from us”. Gli stanziamenti e i pannelli solari che aveva fatto installare sul tetto della Casa Bianca vennero repentinamente rimossi con l’arrivo alla Casa Bianca di Ronald Reagan (1981-1989), convinto che anche nell’energia a decidere gli investimenti dovesse essere la mano invisibile del mercato e non lo Stato, in obbedienza al credo “government is not the solution to our problem; government is the problem.

Ma senza le numerose realizzazioni pubbliche – a partire dalla ‘casa solare’ realizzata dalla Purdue University nell’Indiana – non si sarebbe avuta la scoperta della cella solare nel 1954 da parte dei Bell Labs di Princeton, New Jersey, dell’AT&T. Industria che solo dopo mezzo secolo avrebbe avuto uno straordinario sviluppo grazie però ai lauti incentivi decisi dagli Stati.

Che si guardi a petrolio, nucleare o solare un insegnamento emerge: nell’energia i maggiori progressi si sono avuti là ove è valsa una virtuosa partnership pubblico-privato

Non ultimo, vale rammentare il caso dello shale oil&gas: l’unico vero global game changer del mondo energetico degli anni Duemila. Sullo sfruttamento delle risorse di idrocarburi non convenzionali già scommetteva il ‘Project Independence’ voluto nel 1974 da Richard Nixon (1969-1974). L’esplosione della loro produzione – che ha più che dimezzato la dipendenza estera degli Stati Uniti, al punto da farne il primo produttore mondiale – ha seguito di molti anni gli investimenti effettuali dal governo federale tra 1978 e 1992, nell’Eastern Gas Shale Program, che dimostrò la fattibilità di molte delle tecnologie oggi utilizzate.

Nel 1975, Presidente Gerald Ford (1974-1977) che aveva confermato l’impegno avviato da Nixon, il DOE perforò il primo pozzo nell’Appalachian Basin estraendone shale gas e nel 1986 realizzò la prima perforazione orizzontale. Senza quelle prime applicazioni non si sarebbe avviata dieci anni dopo la shale revolution capeggiata da George Mitchell che lo avrebbe portato nel 1997 a perfezionare la rivoluzionaria tecnologia dell’horizontal-fracking, così consentendo a migliaia e migliaia di animal spirits di rivoluzionare l’uspstream degli idrocarburi. Non meno importante l’Energy Policy Act, emanato dall’Amministrazione Bush nel 2005, che allentando la maglia dei vincoli ambientali nelle attività di fracking ha spianato il terreno ai produttori indipendenti.

Che si guardi al petrolio, al nucleare, al solare, allo shale oil&gas un insegnamento emerge: nell’energia i maggiori progressi si sono avuti là ove è valsa una virtuosa partnership pubblico-privato. Che la miccia sia stata accesa dall’una o dall’altra componente è in fondo del tutto irrilevante.

Negarlo è negare l’evidenza della storia, senza per questo essere necessariamente statalista o meno liberista.  


1 Commento
Chi ragione tra Mazzucato e Mingardi su Stato e privati nel settore energetico? – Startmag 

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