È un fatto straordinario che in 1.325 città di 98 paesi si tenga oggi una mobilitazione dei giovani – Global Strike For Future – in difesa del Pianeta martoriato da mille minacce, ad iniziare dal surriscaldamento originato in larga parte dalle attività dell’uomo.
Una mobilitazione importante per molte ragioni, a partire dal fatto che è su di loro e sui loro figli che ricadranno i paventati effetti dei cambiamenti climatici. Ma, non meno importante, è il carattere di spontaneità e autenticità di questa mobilitazione mondiale se rapportata all’ipocrisia che ammanta gli innumerevoli Summit internazionali dove il gioco degli interessi costituiti sta sullo sfondo delle (false) promesse degli Stati – le cose dopo Parigi sono peggiorante checché ne dicano ambientalisti compiacenti – e dove una scienza di parte si fa strumento della politica.
Troppo spesso la comunità scientifica non ha saputo parlare alla società in modo chiaro e oggettivo indicando le criticità e i trade-off che caratterizzano ogni scelta senza dare illusorie certezze. Frequente è invece l’uso strumentale della scienza da parte di chi, pur facendovi parte, esprime giudizi moraleggianti su argomenti anche lontani dalle loro specifiche competenze in un coacervo di posizioni che va influenzando la politica verso opzioni politicamente gradite più che scientificamente fondate.
Il peggio è di aver fatto credere all’opinione pubblica che la lotta ai cambiamenti climatici sia una cosa facile,
ma le cose non stanno affatto così
Il peggio è di aver fatto credere all’opinione pubblica, giovani compresi, che la lotta ai cambiamenti climatici sia cosa facile, conseguibile in tempi brevi, socialmente ed economicamente indolore. Basta volerlo. Le cose non stanno affatto così. Dirlo con onestà intellettuale non significa sminuirne la necessità ma dire in sintesi come stanno le cose.
La lotta ai cambiamenti climatici, assolutamente doverosa, è maledettamente complessa, richiede un impegno massiccio di risorse da sottrarre ad altre finalità, impone modifiche radicali nei nostri comportamenti e modi di vivere, la rinuncia a tutto ciò che riteniamo acquisito e di nostro diritto, lascia sul campo vincitori e vinti, questi ultimi spesso tra i più deboli.
Anche nella stampa di questi giorni l’illusione del ‘basta volerlo’ è stata alimentata a mani basse, con pagelle in cui comparivano paesi buoni e paesi cattivi, senza spesso cognizione di causa.
Attribuire alla Germania, ad esempio, la patente di virtuosismo ambientale è quanto di più lontano dalla verità. Sarà pur vero infatti che Berlino è impegnato a sviluppare le risorse rinnovabili (con enormi costi addossati alle famiglie che in numero sempre più ampio rinunciano ad acquistare l’elettricità) ma è altrettanto vero che non ha alcuna intenzione di ridurre se non nel lungo periodo la produzione elettrica usando la peggior qualità di carbone, la lignite, che è quanto di più oltraggioso dell’ambiente. Ogni 10 auto elettriche che solcheranno le strade tedesche 4 andranno a energia elettrica prodotta a carbone con un netto peggioramento del flusso di emissioni di CO2. Altro che virtuosismo tedesco!
La speranza del futuro del Pianeta è nei giovani, con l’auspicio che sia l’inizio di un percorso di apprendimento delle sfide e delle possibili soluzioni
Ben venga comunque la pressione dei giovani – se non altro perché liberi da condizionamenti di sorta – sui loro governi perché agiscano con maggior determinatezza. Nei giovani è la speranza del futuro del Pianeta, con l’auspicio che l’impegno non si esaurisca nelle manifestazioni odierne ma segni l’inizio di un percorso di apprendimento delle sfide da affrontare e delle soluzioni da porre in essere. Con la speranza, infine, che la loro mobilitazione non sia strumentalizzata da chi mira a conseguire il proprio interesse e non a tutelare le sorti del Pianeta, come purtroppo è dato vedere.
Foto di Josh Barwick (Unsplash)
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