Il dibattito sulla prematura fine del petrolio – vi sono ancora 1.700 miliardi di barili di riserve sottoterra – è ormai concentrato non sul ‘se’ avverrà, essendo data ormai per certa, ma sul ‘quando’. In sostanza: l’anno in cui la domanda raggiungerà il suo ‘picco’ (peak oil demand) per prendere poi inesorabilmente a cadere.
Chi lo colloca nel 2025, chi nel 2030, chi nel 2040. A causarlo, si sostiene, la galoppante transizione energetica verso le tecnologie low-carbon, l’aumento della penetrazione elettrica, l’avanzare prepotente dell’auto elettrica.
Ma le cose non stanno così.
Non solo perché la quota del petrolio resiste imperterrita; l’aumento della penetrazione elettrica proprio non si vede (da dieci anni i consumi elettrici nel mondo avanzato sono costanti); l’auto elettrica resta a un qualche punto per mille dello stock. Ma per altre due ragioni: perché si fanno male i conti e perché il petrolio, come i gatti, ha molte vite.
Quando l’auto elettrica raggiungerà il 20% dell’intero parco auto (oggi è al 4‰) verrà spiazzato appena il 5% del petrolio
Si fanno male i conti perché il petrolio destinato alla mobilità passeggeri conta solo per il 25% dei suoi consumi così che quando l’auto elettrica raggiungerà il 20% dell’intero parco auto (oggi è al 4‰) verrà spiazzato appena il 5% del petrolio.
La seconda ragione è che questo spiazzamento sarà controbilanciato dalla maggior domanda in altri settori di consumo – petrolchimica, trasporto aereo, trasporto pesante – ove il petrolio resta insostituibile. Fatto inspiegabilmente dimenticato nei necrologi sul petrolio.
La minor domanda di petrolio nella mobilità passeggeri verrà controbilanciata dalla crescita in altri settori, come la petrolchimica, il trasporto aereo e il trasporto pesante
Prendiamo l’industria petrolchimica che assorbe il 15% dei consumi di petrolio. Data per moribonda, ha conosciuto negli ultimi anni una straordinaria rinascita. Soprattutto in America, ove in un decennio sono stati realizzati 300 progetti per 200 miliardi dollari, grazie al crollo dei prezzi per la shale revolution, ma anche in Cina, Indonesia, Corea del Sud, Medio Oriente, Russia. Ovunque tranne che in Europa.
Alla base di questa rinascita stanno più ragioni, a iniziare dal crescente appetito per beni (consumo e intermedi) derivati dalla petrolchimica, specie la plastica che assorbe i due-terzi dell’intera domanda di petrolio della petrolchimica. Da inizio secolo, il consumo di plastica nel mondo è raddoppiato come bulk materials spiazzando altri materiali ad elevato contenuto energetico/carbonico come alluminio, acciaio, cemento, ma anche come strumentale a beni di consumo: gadget elettronici, packaging, smartphone, infrastrutture digitali, cosmetica.
La plastica assorbe i due-terzi dell’intera domanda di petrolio della petrolchimica
Va da sé che le ‘Big Oil’ vanno concentrando i loro investimenti nei settori di impiego a maggior crescita e con minori rischi di sostituzione. In particolare, ove il petrolio è impiegato come feedstock della petrolchimica, la cui quota sul totale dei suoi consumi (insieme a lubrificanti e bitume) è prevista aumentare dal 10%-15% del 2015-2010 a ridosso del 40% nel 2035-2040.
Questa crescita aggraverà la piaga dell’inquinamento da plastiche che dovrà essere contrastato con una salto di qualità delle politiche e pratiche di riciclaggio.
Altro settore in cui vi sono limitate possibilità di sostituzione del petrolio è quello del trasporto aereo, previsto crescere annualmente del 4,4% nei prossimi venti anni, grazie al continuo ridursi delle tariffe aeree, alla crescita del reddito pro-capite, alla globalizzazione. Vale rammentare che il 30 giugno 2018 ha toccato il record mondiale di 202.500 rotte – una ogni mezzo secondo – e che un solo volo Europa-Australia consuma tanto petrolio quanto una media vettura passeggeri in un intero anno.
Terzo settore è quello del trasporto pesante, per mare e terra, estremamente difficile da elettrificare ove il petrolio potrà essere sostituito parzialmente dal metano.
Morale, secondo l’Agenzia di Parigi la domanda di petrolio al 2030 crescerà rispetto ad oggi (tenendo conto dell’efficienza energetica) di 9,6 mil.bbl/g – a circa 110 mil.bbl/g – così distribuiti tra di diversi settori di consumo:
Crescita della domanda petrolio al 2030 (mil.bbl/g)
Petrolchimica | +3,2 |
Strada | +2,5 |
Aereo | +1,7 |
Mare | +1 |
Altri | +1,2 |
Totale | +9,6 |
Il necrologio della fine del petrolio è, in conclusione, alquanto prematuro, inutilmente auto-consolatorio, lontano dalla realtà delle cose. Del petrolio non potremo farne a meno ancora per lungo tempo. A condizione, come usa dirsi, di arrivarci vivi.
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