Nel 1970, in una memorabile partita ai Mondiali di calcio in Messico l’Italia batté la Germania 4-3 con gran goal di Rivera al termine dei supplementari. Circa 50 anni dopo l’Italia ha perso una partita contro Berlino meno appassionante ma nondimeno importante: quella del suo futuro metanifero.
Grazie al compromesso franco-tedesco e all’intesa raggiunta il 12 febbraio tra Consiglio e Parlamento Europeo, la Germania vedrà ultimato nel 2020 il gasdotto Nord Stream 2 (NS2).
Berlino diverrà indiscusso leader del metano nel continente, mentre svanisce definitivamente l’idea che il nostro Paese possa diventarne hub verso il Centro Europa
Gemello del NS1 e realizzato da una società controllata da Gazprom (al 50%) insieme a cinque società europee (ciascuna col 10%), il gasdotto porterà il gas dalle coste russe (Vyborg) direttamente a quelle tedesche (Greifswald) attraverso il Mar Baltico.
Morale: Berlino diverrà indiscusso leader del metano nel continente europeo. Svanisce parallelamente l’idea che il nostro Paese potesse diventare hub di transito del metano verso il Centro Europa proveniente dall’Oriente e dal Mediterraneo, come titolava il Sole24Ore sin dal 3 settembre 2006, “Hub italiano per l’energia”, e ancora il 27 marzo 2008, “Italia hub europeo del metano”.

Una prospettiva per altro molto vaga che avrebbe richiesto alcune specifiche condizioni: che i Governi succedutisi nello scorso decennio si impegnassero a livello europeo per poterla realizzare; che si costruissero in tempi rapidi altri gasdotti, dopo la penosa vicenda del TAP; che il metano fosse competitivo nei mercati di sbocco; che i paesi destinatari fossero disposti a dipendere da noi. Condizioni impossibili: col rischio anzi che ci si infilasse in un nuovo tunnel simile a quello altrettanto penoso della TAV.
L’Italia diverrà marginale nello scacchiere metanifero internazionale e più vulnerabile, un timore di cui si era consapevoli nella SEN 2017, ma che sparisce nella proposta di PNIEC
L’Italia diverrà marginale nello scacchiere metanifero internazionale, dopo esserne stato uno dei primi attori, e più vulnerabile all’interno del nostro stesso mercato perché dipenderemo sia dalla Russia che dalla Germania.
Un rischio di cui pure era pienamente consapevole il passato Governo che nella SEN 2017 aveva sostenuto che col NS2 “l’Italia dovrebbe approvvigionarsi per tutto il gas russo necessario via Germania, con un mutamento di rotte attraverso l’Europa e con possibili costi addizionali che dovrebbero essere sostenuti per potenziare le interconnessioni intra-europee, che potrebbero poi riverberarsi sul prezzo all’ingrosso italiano”.
La Germania, proseguiva, diverrebbe “hub centro europeo dove si formerebbero i prezzi, rendendo strutturale lo spread di prezzo tra i sistema italiano ed il nord Europa, dato che il prezzo all’ingrosso al PSV diverrebbe pari a quello tedesco più i costi addizionali di trasporto, aumentando il divario di competitività per le imprese italiane”.
Preoccupazioni a distanza di un anno inopinatamente cancellate nella proposta di Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) licenziato il 31 dicembre da tre Ministri: Sviluppo Economico, Ambiente, Infrastrutture.
Le possibili ragioni? L’assoluta disattenzione prestata sia alla sicurezza energetica, come si è visto anche col blocco delle attività estrattive interne, che alla necessità di ridurre lo spread nei costi del gas verso i nostri competitori, cui bisogna forse aggiungere la maggior vicinanza politica con Mosca dell’attuale Governo, anche se non può dirsi che quelli precedenti gli fossero ostili.
Vero king maker del metano in Europa, Putin è riuscito a mettere uno contro l’altro i paesi europei e ad acuire lo scontro tra Stati Uniti e Unione Europea
L’intesa raggiunta ha un perdente, l’Europa, e due vincitori: Angela Merkel, che ha sempre sostenuto la natura commerciale e non politica del progetto, e soprattutto Vladimir Putin: vero king maker del metano in Europa.
Putin è riuscito a mettere uno contro l’altro i paesi europei e ad acuire lo scontro tra Stati Uniti ed Europa, con la minaccia della Casa Bianca e del Congresso di sanzionare le imprese europee che avessero contribuito alla sua realizzazione.
Tre i fronti europei:
(a) quello tedesco e i paesi alleati nella realizzazione del progetto e
nell’acquisto del gas;
(b) i paesi dell’Europa dell’Est fermamente contrari al gasdotto temendo che
l’aggiramento della Polonia e dell’Ucraina ne accresca la soggezione verso
Mosca;
(c) Commissione e Parlamento europei in posizioni intermedie ma determinati a
far sì che il nuovo gasdotto fosse assoggettato a tutte le regole del mercato
interno alla pari delle altre infrastrutture (accesso capacità a terzi, tariffe
non discriminatorie, separazione proprietà-gestione), anche in considerazione
dell’assoluta asimmetria di regole rispetto all’assoluto monopolio russo.
Nord Stream 2 è “economicamente e politicamente superfluo” nonché “non profittevole come progetto d’investimento” – Deustche Bank Research-DIW
Due mesi fa il Parlamento aveva approvato una mozione in cui si scriveva del NS2 come di un “political project that poses a threat to European energy security”. Un mega-progetto giudicato da tutti privo di un razionale economico: da The Economist, al Financial Times, alla Deustche Bank Research-DIW secondo cui “is economically and politically unnecessary” e “not a profitable investment project”.
La ragione? Il gasdotto non accrescerà le forniture russe all’Europa, ma servirà unicamente a svuotare i tubi dell’Ucraina (nel 2018, 94 mld mc su 201 importati dall’Europa) privandola degli introiti di transito (2% PIL) e consentendo a Mosca di tagliare le forniture a Kiev senza conseguenze per la Germania. In sintesi: aumenterà il potere della Russia sull’Ucraina e su tutto l’Est Europa.
L’Italia, dal canto suo, ha avuto una posizione insieme confusa ed opportunistica: oscillando in un solo mese, col Governo Renzi, da una ferma opposizione al NS2 ad un’accettazione a condizione fossero coinvolte imprese italiane, per scivolare poi coi governi successivi in un sostanziale disinteresse.
La partita può dirsi oggi definitivamente chiusa con la netta vittoria di Berlino, grazie al compromesso franco-tedesco – uso a far blocco nelle votazioni del Consiglio – per una revisione della nuova direttiva sul metano, cui sono state inserite alcune ‘scappatoie’ (loopholes) per consentire il completamento del progetto: la nuova regola prevede in particolare che il paese di primo approdo (la Germania) possa concedere eventuali deroghe alla regole UE, purché non sia a detrimento della concorrenza subordinatamente al consenso della Commissione.
Il compromesso raggiunto, volto a superare l’opposizione dell’autorità danese (essendo prima necessario il parere positivo di tutti i paesi le cui acque territoriali erano interessate al transito del NS2), potrà rallentare la realizzazione del NS2, già realizzata per la metà della sua lunghezza, ma non la bloccherà.
Una soluzione ipocrita che apparentemente accontenta tutti ma che ha un solo vincitore: Berlino, con buona pace delle ambizione italiane di divenire un grande hub del metano.
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