Come si possono realizzare politiche ambientali efficaci, di ampio e durevole respiro senza che queste siano causa (reale o percepita) di ingiustizia sociale? È questo l’interrogativo che si pone il sociologo Luigi Pellizzoni (Università di Pisa) nel suo editoriale pubblicato su Energia 1.19 di fronte all’esplodere della protesta dei gilet gialli in Francia.
Le politiche energetiche, o ambientali in genere, non si possono misurare solo in termini di efficacia ma richiedono una valutazione anche in termini di equità. Il rischio altrimenti è il verificarsi di quello che Pellizzoni denomina «Robin Hood alla Rovescia»: ossia “il fatto (reale o percepito poco importa) che si toglie ai poveri per dare ai ricchi, o si toglie di più ai primi e di meno ai secondi”.
“Una disparità di trattamento che si produce non solo sul piano materiale ma anche su quello simbolico, come dimostra l’accusa rivolta ai «gilet gialli» di essere insensibili verso una misura importante per l’ambiente e le generazioni future, capace di orientare nella giusta direzione comportamenti e investimenti.”
Perché si produce questo effetto? Imposte indirette come la carbon tax sono “regressive” e risultano “tanto più onerose quanto minore è il reddito disponibile e quanto più rigida è la domanda”.
“I dimostranti finiscono così per essere (o percepirsi) vittime di una doppia ingiustizia: non solo gli effetti dell’ecotassa sono più onerosi per loro (le fasce meno abbienti della popolazione), ma subiscono anche uno stigma sociale negativo, mentre le élite benestanti e benpensanti non solo risentono in misura minore del gravame ma risultano anche socialmente virtuose”.
Il «Robin Hood alla Rovescia» è chiaramente visibile in numerosi ambiti di rilevanza sociale ed ha una componente materiale ed una simbolica. Ne è chiaro esempio il cibo: dove “quello di miglior qualità e minore impatto ambientale costa tipicamente più di quello di bassa qualità”, da cui risulta che chi non se lo può permettere mangia peggio, meno salutare e spesso viene stigmatizzato socialmente (obesità).
Ma anche la mobilità, ambito nel quale “se possiamo cambiare l’auto ogni due o tre anni ci troviamo al passo con le norme e siamo «cittadini responsabili»; se non lo possiamo fare siamo, ancora una volta, «brutti, sporchi e cattivi»”. Non è un caso che i «gilet gialli» nelle loro rimostranze se la siano presa con i “parigini col metrò sotto casa”. In periferia l’unico modo effettivo per spostarsi è spesso proprio l’auto.
“Girare in Tesla significa suscitare una doppia ammirazione (o un doppio risentimento), in quanto si mostra di essere al vertice non solo per ricchezza e successo ma anche per coscienza ecologica e responsabilità sociale.”
Secondo Pellizzoni, il fatto che i modelli economici siano «performativi» (“modificano stabilmente la realtà per il fatto stesso di essere applicati”) fa sì che valutazioni tecniche e valutazioni politiche siano difficilmente scorporabili. Uno sforzo che tuttavia deve essere fatto “pena un’ulteriore, drammatica perdita di credibilità istituzionale e quindi di governabilità sociale.”
Propone quindi come “cornice adeguata per impostare questo tipo di lavoro” quella della Environmental Justice nata negli anni 1970 “sulla scorta dell’osservazione che la distribuzione degli effetti collaterali e/o imprevisti dello sviluppo tecnologico va sistematicamente a danno dei ceti sociali e dei territori più fragili e marginali”.
Come mai i siti “tecnicamente” più idonei a ospitare certe attività o infrastrutture sono sempre quelli più deboli dal punto di vista socio-economico e ambientale?
Un approccio alternativo sia alla via “ipertecnologica” della soluzione delle questioni ambientali (“le cui promesse sono sempre rinviate” e per questo va “perdendo sempre più credibilità”) sia a quella “romantica della preservazione della natura o di un ritorno ad assetti preindustriali” che presenta palesi contraddizioni e semplifica oltremodo la questione.
“EJ indica allora che la sostenibilità ecologica non può andare disgiunta dall’equità sociale; che la protezione della natura o un suo utilizzo più efficiente non possono essere separate da una distribuzione più giusta delle basi materiali del sostentamento e un confronto aperto sul tipo di società che si vuole realizzare.”
Non si può semplicemente verniciare di verde il medesimo edificio socio-economico, perché la vernice si scrosta presto e le vecchie crepe ricompaiono, più profonde di prima.
L’auspicio del sociologo è in conclusione che scienza e politica si dedichino maggiormente allo studio ed alla ricerca di una soluzione all’effetto «Robin Hood alla Rovescia», che rappresenta “uno degli ostacoli maggiori, se non il maggiore, alla realizzazione di politiche ambientali efficaci, di ampio e durevole respiro.”
Il post presenta l’articolo Robin Hood alla rovescia? Transizione energetica e giustizia ambientale scritto da Luigi Pellizzoni e pubblicato sul numero 1.19 di Energia (pp. 6-9)
Luigi Pellizzoni è professore presso l’Università di Pisa
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