Nel gran dibattere sulla visita in Italia del Presidente cinese Xi Jinping e sul ‘Memorandum of Understandng’ (MoU) che dovrebbe essere firmato tra i due paesi, poca attenzione è stata riservata all’energia, nonostante nel suo striminzito testo provvisorio vi compaia su due temi fondamentali: infrastrutture e “promozione dello sviluppo sostenibile ed ecologico”. Nell’energia i rapporti Italia-Cina sono andati accrescendosi di molto e ancor più accadrà in futuro. In due campi.
Primo, nelle infrastrutture: con l’entrata nel capitale di Terna e Snam, con una quota seconda solo a quella di CDP, del monopolista pubblico cinese State Grid Corporate China (SGCC), la più grande compagnia elettrica al mondo con circa 1 milioni di dipendenti e 1,1 miliardi di clienti. Una decisione opposta a quella di altri paesi, ad iniziare dalla Germania che lo scorso anno per la seconda volta ha respinto il tentativo sempre di SGCC di acquisire il 20% della società 50 Hertz che gestisce il sistema del trasporto elettrico del nord del Paese, per tutelare – ha sostenuto Berlino – “le infrastrutture energetiche ritenute critiche”.
A differenza dell’Italia, la Germania ha respinto il tentativo cinese di entrare nelle infrastrutture energetiche ritenute critiche
Secondo campo: l’aumento esponenziale nel nostro mix energetico della generazione elettrica da risorse rinnovabili con impianti importati per lo più dalla Cina. Sviluppi che è prevedibile si consolideranno in futuro per più ragioni: (a) il previsto quasi raddoppio delle rinnovabili, dal 17,5% al 32% del nostro consumo finale di energia, in ottemperanza alle decisioni dell’Unione Europea; (b) il miraggio della mobilità elettrica, di cui diremo; (c) il progetto “Global Energy Interconnection” lanciato da Xi Jinping all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 26 settembre 2015 per trasportare elettricità dalla Cina su grandissime distanze, Europa compresa. Un ‘sinister project’ secondo The Economist che cela a suo dire il tentativo del ‘Pianeta Cina’ di creare un nuovo ordine mondiale in cui assumere un ruolo egemonico.
Una posizione non distante dall’interessante tesi sviluppata su Foreign Affairs da Amy Myers Jaffe circa la svolta decisa dal Presidente Xi Jinping nella strategia energetica del paese. Finalizzata, a suo dire, ad un preciso obiettivo: fare della Cina “the renewable energy superpower of the future” per contrastare la leadership che gli Stati Uniti vanno guadagnando nel mercato del petrolio e del metano. Acquisire in sostanza una leadership tecnologia, industriale, commerciale nelle rinnovabili, nella supply chain della mobilità elettrica (dalle materie prime alle batterie), nell’efficienza energetica e nella finanza ‘verde’.
La Cina vuole diventare una superpotenza nelle energie rinnovabili per contrastare la leadership degli Stati Uniti nel petrolio e nel metano
Obiettivo ampiamente conseguito grazie all’affermarsi nei paesi occidentali – Europa in testa – del mantra della transizione energetica al dopo-fossili e ai massicci investimenti interni effettuati dalla Cina nelle rinnovabili (2012-2017: 478 miliardi dollari). Il loro combinato disposto ha consentito all’industria cinese di divenire quasi-monopolista nella produzione mondiale di pannelli solari, con una quota superiore ai due-terzi, e delle turbine eoliche, cresciute a 92.000 unità (una all’ora!).
L’azione di contrasto di Pechino agli Stati Uniti sulla scena energetica mondiale si è sostanziato nella progressiva penetrazione nei sistemi energetici di molti paesi con tecnologie green che consentono loro di ridurre sia le importazioni di petrolio e metano che le emissioni carboniche. Un’azione che ha trovato pieno supporto negli ultra generosi incentivi riconosciuti alle rinnovabili da molti paesi, Germania e Italia in testa, consentendo a Pechino di moltiplicare il numero di imprese green (su Alibaba si contano oltre 3.000 fornitori di pannelli solari).
Grazie a questa sua nuova strategia Pechino finirà per sostituire gli Stati Uniti in molte relazioni politiche, industriali, commerciali
In sintesi: le economie e i consumatori europei hanno operato e sempre più opereranno per l’economia e l’industria cinese. Grazie a questa sua nuova strategia Pechino finirà per sostituire gli Stati Uniti in molte relazioni politiche, industriali, commerciali: corteggiando Europa, Asia Centrale, Sud Est Asiatico con promesse di lauti finanziamenti, sviluppo infrastrutturale, maggior sicurezza energetica.
Lo scontro, a ben vedere, non è tanto o solo tra Cina e Stati Uniti, ma tra Stati Uniti e Europa. Ciò di cui l’Europa non sembra tuttavia essere gran che consapevole dovendo in futuro accrescere sempre gli approvvigionamenti esteri di petrolio e metano.
Anche la Cina, nonostante la crescita delle rinnovabili, abbisognerà di maggiori import di petrolio e metano. Cambierà tuttavia la sua strategia sin qui concentrata nell’accaparrarsi il diretto controllo di giacimenti: acquisendo concessioni, concedendo prestiti ai paesi produttori, investendo al loro interno (Iran, Irak, Venezuela, Africa, etc). Una strategia che ha comportato costi enormi e risultati deludenti quanto a produzione acquisita – appena 2 milioni bbl/g a fronte di 160 miliardi dollari spesi – e debiti non rimborsati (specie ma non solo dal Venezuela).
La strategia cinese troverà comunque ancor più linfa dalle politiche climatiche pro-rinnovabili post-Parigi con stime di investimenti per 6.000 miliardi dollari stando all’Agenzia Internazionale dell’Energia. Vi è poi, infine il miraggio dell’auto elettrica ove la Cina sta guadagnando posizioni di leadership controllando, con oltre 100 imprese ampiamente sussidiate dallo Stato, la sua intera supply chain per consentire loro un crollo dei costi di produzione, come accaduto per il solare e l’eolico.
Rinnovabili e mobilità elettrica vengono sostenute come soluzioni uniche per combattere i cambiamenti climatici e accrescere la sicurezza energetica. Non è così. Alle rinnovabili si affiancano infatti altre talora non meno efficaci tecnologie, ove si confrontino le emissioni nel loro intero ciclo produttivo e di vita.
Con le rinnovabili e l’auto elettrica muta la natura ma non la sostanza della dipendenza dall’estero
Quanto alla sicurezza con le rinnovabili e l’auto elettrica muta la natura ma non la sostanza della dipendenza dall’estero: passando nel caso del petrolio e del metano da una dipendenza fisica da un ampio spettro di fornitori ad una dipendenza tecnologica nel caso della mobilità elettrica da un quasi-monopolista: quello cinese. Una dipendenza forse più problematica e rischiosa.
Un paradosso che, a dire di Alberto Bombassei su questo Blog, rischia di cedere alla Cina anche “il controllo della mobilità futura [con] un effetto domino che avrebbe effetti letali su intere filiere industriali occidentali”. Ben venga quindi la crescita della cooperazione commerciale con la Cina, stando però attenti che la Via della Seta non si riveli una Tela del Ragno.
[…] (estratto di un articolo pubblicato su Rivista Energia; qui l’articolo integrale) […]