16 Aprile 2019

La fioritura a Fukushima

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Nelle campagne di Fukushima sta per realizzarsi la magnifica fioritura del più antico albero di ciliegio giapponese, il ‘Miharu Takizakura’. In uno scenario post-apocalittico ma resiliente, a meno di un mese dall’ottavo anniversario del disastro nucleare della centrale Daichi.

È l’11 marzo 2011: un sisma senza precedenti nel paese tra i più forti mai registrati al mondo e conseguente maremoto si abbattono sulla costa nordorientale del Giappone. Tra gli enormi danni causati al tessuto sociale ed economico, l’evento catastrofico provoca un blackout elettrico e il guasto ai sistemi di raffreddamento dei reattori nella centrale nucleare di Daichi, a Fukushima, con conseguente fuoriuscita di materiale radioattivo.

In Occidente i fatti di Fukushima riaprono la ferita di Chernobyl e il dibattito sulla sicurezza del nucleare. Segnano il progressivo abbandono della produzione nucleare civile in molti paesi europei, cristallizzando l’immagine della fragilità umana davanti alla forza della natura.

Miharu Takizakura non è in Europa: la specificità giapponese

Nell’immaginario giapponese, invece, “l’evento catastrofico non costituisce né una rottura irreparabile, né viene represso nella dinamica della ripetizione eterna”. Da una ricerca sulla percezione del disastro ambientale emerge che l’interpretazione giapponese del dramma di Fukushima è molto diversa dalla lettura che se ne dà in Occidente: l’associazione con il disastro di Chernobyl, oggi un deserto inospitale e abbandonato, sarebbe molto lontana dall’idea di rinascita contenuta nella percezione della catastrofe in Giappone.

L’interpretazione giapponese del dramma di Fukushima è molto diversa dalla lettura che se ne dà in Occidente

Sul sito nucleare di Daichi, dove il rischio di terremoti e tsunami e i livelli di radioattività restano pericolosamente alti, più di seimila persone lavorano quotidianamente a sfide tecnologiche senza precedenti per realizzare il programma decennale di smantellamento e bonifica: tra i progetti più ambiziosi vi è anche la costruzione di un muro di ghiaccio intorno al reattore per isolare l’acqua contaminata.

Nell’ambiente circostante il cemento ha preso il posto della vegetazione nella speranza di ridurre la radioattività del suolo. In questo paesaggio artificioso, però, sorprendentemente alcuni alberi sono stati risparmiati nonostante la loro presenza complichi i lavori di bonifica: sono i ciliegi di Fukushima, che accompagnano la rinascita tecnologica del Giappone, nell’ennesima ricostruzione fisica e morale del Paese.

La produzione nucleare in Giappone

Con il primo reattore nucleare in funzione dal 1966, l’energia nucleare è divenuta una priorità strategica nazionale nel 1973. Fino al 2011, il nucleare copriva circa il 30% della generazione elettrica e sarebbe dovuto arrivare al 40% entro il 2017. A settembre 2013, l’operatività dell’intera flotta di reattori è stata completamente interrotta.

I primi due reattori che hanno superato l’inasprimento degli standard e delle procedure di sicurezza hanno ripreso ad operare nella seconda metà del 2015. A questi, si sono poi aggiunti altri due reattori, ma nel 2017 la generazione elettrica da nucleare non arrivava al 3%.

L’ultimo Piano Energetico del Giappone punta al ritorno del nucleare intorno al 20-22% nella generazione elettrica entro il 2030

Nel corso del 2018 sono stati riattivati altri 5 reattori, per un totale di 9 reattori, tutti nel Giappone occidentale. L’ultimo Piano Energetico (2018) punta al ritorno del nucleare intorno al 20-22% nella generazione elettrica del 2030, quota difficile da conseguire senza un cospicuo incremento dell’operatività dei reattori ancora fermi e la costruzione di nuovi reattori.


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