22 Maggio 2019

In cosa consiste la strategicità di Eni?

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Nei giorni scorsi Eni e l’azienda algerina Sonatrach hanno rinnovato l’accordo di importazione del metano. In scadenza il prossimo 30 settembre, l’accordo è stato prolungato al 2027 (con opzione 2029) per un volume di 10 miliardi metri cubi l’anno.

Come valutare questo accordo? Vi sono importanti elementi di novità rispetto a quello precedente: dai minor quantitativi – 10 vs 27 miliardi mc, 20 Eni e 7 Enel – alla minor durata – 8-10 anni vs 25. Ma soprattutto, in che ottica valutarlo: aziendale o nazionale? Questo è il punto.

Per darne risposta è necessario richiamare la profonda discontinuità intervenuta nel ruolo di Eni a seguito dei processi di liberalizzazione del nostro mercato energetico e di privatizzazione pur parziale del Gruppo, rimasto sotto il controllo dello Stato.

L’uno e l’altro processo hanno sottratto all’ex-impresa pubblica le finalità pubblicistiche – in primis essere «fornitore di ultima istanza» del Paese – che ne guidavano le scelte, senza peraltro che ne siano stati ridefiniti ruoli e responsabilità da parte dello Stato-azionista (altri dal potere di nomina degli organi sociali).

I processi di liberalizzazione e privatizzazione del nostro mercato energetico hanno sottratto all’ex campione nazionale le sue finalità pubblicistiche

Al di là del “ritorno dello Stato azionista” attraverso il suo braccio armato della Cassa Depositi e Prestiti, col ruolo di holding di partecipazioni, come ha bene analizzato Massimo Mucchetti, in cosa consiste oggi la «strategicità» di Eni – e allo stesso modo quella di Enel – con cui si è continuato a motivare, a mio avviso giustamente, la permanenza del suo controllo da parte dello Stato?

Della valenza strategica di Eni si riprende a parlare ogni qualvolta riemerge la necessità di por mano ad ulteriori privatizzazioni per incassare denari e abbattere il debito pubblico. Vista la difficoltà a farlo cedendo il patrimonio immobiliare dello Stato, di cui si parla invano da decenni, e vista la ridotta consistenza di altre imprese a controllo pubblico, non resta che intaccare la ‘carne viva’ delle grandi aziende, quale appunto Eni.

Per riflesso condizionato scatta una reazione negativa data, si afferma, la sua valenza strategica. Ma in cosa consiste?

Forse nell’allocazione delle politiche di investimento del Gruppo tra estero e Italia? Quando nello scorso ottobre Palazzo Chigi convocò le aziende a partecipazione pubblica perché aumentassero i loro investimenti in Italia, il Presidente del Consiglio si disse soddisfatto della disponibilità emersa da quell’incontro di accrescere gli investimenti di 15 se non 20 miliardi di euro. Della cosa non si seppe poi più nulla, perché, come titolammo il post del 16 ottobre “non c’è trippa per gatti”. Quelli programmati da Eni per l’Italia non andavano, ad esempio, oltre 1,7 miliardi di euro l’anno.

Che la strategicità di Eni risieda allora nella valorizzazione delle riserve nazionali di petrolio e metano? Assolutamente no, vista la preconcetta ostilità del Governo verso questa attività, nonostante il fallito referendum No-Triv del 2016, che peserà sui conti dell’Eni per miliardi di euro (e conseguentemente sui dividendi allo Stato).

Strategico allora per l’obiettivo che il Gruppo si è dato sin dai tempi di Mattei di assicurare al paese la maggior sicurezza energetica? Al riguardo un interrogativo si impone tornando alla notizia del rinnovo dell’accordo di importazione dall’Algeria: Eni nel negoziare e sottoscrivere i contratti internazionali di acquisto del gas metano – la fonte più critica sotto il profilo della sicurezza, data la rigidità dei suoi scambi – deve guardare ai propri interessi economici o farsi carico della sicurezza energetica del Paese nel lungo termine? E nel caso i primi non coincidano con il secondo chi ne paga il costo?

L’Eni assicura grosso modo la metà degli approvvigionamenti di metano del Paese ed il suo punto di forza è stato da sempre il paniere di contratti che nel tempo aveva saputo concludere grazie alla credibilità, reputazione, competenza che gli erano universalmente riconosciute. E in momenti di crisi, come quello vissuto il 22 febbraio 2011 quando le importazioni dalla Libia si azzerarono, Eni seppe nel giro di poche ore rimpiazzare i circa 10 miliardi metri cubi che venivano a mancare con forniture da altre linee contrattuali.

Cosa ci assicura che in futuro l’interesse aziendale di Eni non prevalga su quello nazionale?

Possiamo essere certi che anche in futuro sarà così e che l’interesse di Eni abbia a coincidere sempre e comunque con quello nazionale? Temo che non sia possibile rispondere con certezza. Perché l’Eni di oggi è altro da quella che erroneamente continuiamo a ritenere. Nell’ultima stesura del suo statuto datato 2014 non vi è infatti alcun riferimento agli interessi del nostro paese.

L’articolo 4.1 recita: La Società ha per oggetto l’esercizio diretto e/o indiretto, tramite partecipazione a società, enti o imprese, di attività nel campo degli idrocarburi e dei vapori naturali, quali la ricerca e la coltivazione di giacimenti di idrocarburi, la costruzione e l’esercizio delle condotte per il trasporto degli stessi, la lavorazione, la trasformazione, lo stoccaggio, la utilizzazione ed il commercio degli idrocarburi e dei vapori naturali, il tutto nell’osservanza delle concessioni previste dalle norme di legge”. Mentre la legge istitutiva dell’Eni n.136 del 10 febbraio 1953 recitava proprio (art.1) che compito della società era quello di: “promuovere ed attuare iniziative di interessenazionale nel campo degli idrocarburi e dei vapori naturali”. 

Su questa sua missione veniva valutato l’operato di Eni. Oggi, non è dato sapere quale sia il metro del giudizio dello Stato nei suoi confronti al di là dei dividendi incassati. Una piccola annotazione aiuta forse a far capire come stanno le cose, come ho avuto modo di approfondire nel mio articolo su Energia 1.19. Ed è che in nessuno dei tre documenti sulla Strategia Energetica Nazionale (l’ultima ribattezzata Piano Nazionale Integrato Energia Clima – PNIEC) elaborati dal 2013 al 2018 compare anche una sola volta il nome di Eni (come di Enel), diversamente dal piano francese che cita 48 volte EdF.

Fatto sintomatico – al di là del rispetto della loro autonomia gestionale – dell’incapacità dei nostri governi di fornire una qualsiasi risposta all’interrogativo: in cosa consiste la strategicità di Eni

Alberto Clô è direttore responsabile della Rivista Energia

Foto: Benjamin Smith / Unsplash

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