Può risultare pedante, ma confrontarsi con i numeri è necessario per sapere con certezza a che punto siamo e verso dove stiamo andando. Nell’energia, come in altri ambiti della società.
Pubblicato in aprile, il rapporto Global Energy & CO2 Status Report 2018 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) riporta il consuntivo 2018 delle principali variabili energetiche e climatiche e il loro andamento dal 2000 al 2018. Esaminarli è di grande importanza per aver contezza della realtà delle cose e per verificare la coerenza delle dinamiche in atto con gli scenari di transizione energetica che si tratteggiano con sostanziale certezza per i prossimi decenni. Lo faremo guardando dapprima la fotografia nel 2018 e in un secondo post le dinamiche osservate dall’inizio del Millennio.
La fotografia del 2018 ci mostra dei risultati che per comodità espositiva sintetizziamo in 5 punti:
1. sensibile crescita dei consumi mondiali di energia
2. cresce ancor di più domanda e generazione di elettricità
3. rallenta il miglioramento dell’efficienza energetica
4. perdura il dominio delle fonti fossili
5. nuovo record delle emissioni di CO₂
Primo: il dato più importante e in qualche modo sorprendente è la sensibile crescita dei consumi mondiali di energia nel 2018 del 2,3%: il tasso maggiore dell’ultimo decennio, pari in termini assoluti a circa 320 mil. tep, quanto l’intero consumo della Germania.
+2,3% la crescita dei consumi mondiali di energia nel 2018
Una crescita distribuita per i sette decimi in tre paesi: Stati Uniti (+3,7%), Cina (+3,5%) – saldamente primo paese consumatore al mondo davanti agli USA – India (+4%). Il ‘Resto del Mondo’ ha segnato una significativa crescita (+1,8%), mentre l’Europa è rimasta stabile.
L’ottimo andamento dell’economia americana – cresciuta nel 2018 del 2,9%, il tasso più alto degli scorsi 13 anni – ha più che annullato la decelerazione nei principali paesi asiatici e nell’Unione Europea.
Secondo: cresce ancor di più domanda e generazione di elettricità. La domanda di energia elettrica è cresciuta nel 2018 a un tasso del 4% – pari a 900 TWh, contro una media nello scorso decennio di 600 TWh – circa due volte quello della domanda di energia primaria (+2,3%) alla cui crescita l’elettricità ha contribuito per la metà.
Cina e Stati Uniti vi hanno contribuito per il 70%, con tassi rispettivamente del +8,5% (trainata dai settori industriali) e del +4% (per il caldo torrido d’estate e il freddo invernale).
+4% la crescita della domanda di energia elettrica
L’aspetto più critico della fotografia elettrica è la perdurante prevalenza delle centrali termoelettriche nell’intera generazione col 64% del totale (carbone 38%, metano 23%, petrolio 3%) col restante 36% distribuito tra nucleare (10%) cresciuto specie per il riavvio di quattro centrali in Giappone dopo il disastro del 2011; idroelettrica (16%), nuove rinnovabili (7%: 5% eolico, 2% solare); biomasse e altre rinnovabili (3%).
Essendo la via della decarbonizzazione incentrata nell’opinione dominante sulla “rivoluzione dolce” delle nuove rinnovabili elettriche, come la definì per primo Amory Lovins nel lontano 1977, la strada da percorrere è ancora molto ma molto lunga.
Terzo: rallenta il miglioramento dell’efficienza energetica. La crescita delle economie è il driver principale dei consumi di energia, funzione a sua volta dell’evolversi dell’intensità energetica: unità di energia consumate per unità di reddito. Tanto più questa si riduce – o in altri termini tanto più migliora l’efficienza energetica – tanto meno il maggior reddito impatta sui consumi (e viceversa).
Per il terzo anno consecutivo l’intensità energetica ha rallentato il suo calo (-1,3%)
Ebbene, il 2018 ha visto per il terzo anno consecutivo un peggioramento delle cose: con l’intensità energetica ridottasi dell’1,3% – in linea peraltro coi tassi di lunghissimo periodo – da valori medi superiori al -2% tra 2010 e 2014 ed un massimo prossimo al -3% nel 2015.
Le maggiori riduzioni si sono avute in India (-3,1%) e in Cina (-2,9%) mentre deludente, rispetto al passato è stato il risultato dell’Europa (-1,6%) con una intensità energetica (a parità di potere di acquisto) inferiore comunque del 27% rispetto alla media mondiale. Gli Stati Uniti, per contro, sempre secondo i dati AIE, hanno addirittura aumentato l’intensità energetica dello 0,8%.
L’attenuarsi dei miglioramenti di efficienza energetica – nonostante il diffondersi dell’economia digitale o dell’economia circolare – è tanto più grave essendo il principale antidoto al rilascio di emissioni.
L’attenuarsi dei miglioramenti di efficienza energetica è tanto più grave perché sono il principale antidoto alle emissioni.
Quarto: perdura il dominio delle fonti fossili che nel loro insieme hanno assicurato nel 2018 l’80% di tutti i consumi di energia primaria, seguite dal 10% delle biomasse (non commerciali), 5% del nucleare, 3% dell’idroelettrica, 2% altre rinnovabili (specie eolico e solare). Al netto delle biomasse, la quota delle fossili salirebbe all’89% (85% secondo i dati di BP Statistical Review).
Se in termini percentuali le rinnovabili (altre da idro e biomasse) hanno registrato il maggior incremento (+14%) in termini assoluti – quel che più conta quanto a emissioni – i maggiori incrementi si sono avuti per metano (+144 mil. tep), petrolio (+58), mentre le rinnovabili (+36) sono cresciute poco di più del carbone (+27).
40 a 1 il rapporto tra fossili e nuove rinnovabili (solare ed eolico)
Nel loro insieme, le rinnovabili hanno soddisfatto il 15% della domanda primaria (circa 55 giorni di consumi annui), in un rapporto con le fossili di 1 a 5, che sale a 1 a 40 se consideriamo le sole nuove rinnovabili (solare ed eolico) verso cui si vanno addensando le maggiori speranze.
Ribaltare questo rapporto in un arco di tempo relativamente breve – come molti ritengono verosimile – è quindi obiettivo fin troppo ambizioso.
Quinto: nuovo record delle emissioni di CO₂. Come abbiamo già avuto modo di analizzare, il 2018 registra un balzo delle emissioni di anidride carbonica dell’1,7%: il tasso più alto dal 2013, superiore del 70% all’incremento medio annuo dal 2010, e che porta ad un nuovo record di 33,1 miliardi di tonnellate (+560 mil. tonn).
+1,7% la crescita delle emissioni di CO2, il tasso più alto dal 2013, superiore del 70% all’incremento medio annuo dal 2010
Il dato è risultato del combinato disposto di: crescita dei consumi di energia, specie elettrica; rallentata dinamica dell’efficienza energetica; predominio delle fossili nei consumi primari e nella generazione elettrica.
A contribuire alle maggiori emissioni è stata per i due-terzi la generazione elettrica e per l’85% tre paesi: India (+4,8%), Stati Uniti (+3,1%), Cina (+2,5%) primo emettitore con emissioni due volte quelle americane.
Come si è visto, da questi tre paesi dipendono quasi interamente le dinamiche globali energetico-climatiche. Poco o nulla vi contribuiscono i risultati conseguiti o conseguibili dagli altri paesi. A titolo di esempio, la riduzione dell’1,3% delle emissioni in Europa ha sottratto all’atmosfera 50 mil. tonn. nel 2018: pari ad appena 0,1% di quelle mondiali.
Sempre meglio che niente, anche se a ben vedere i risultati sarebbero stati di gran lunga superiori se le risorse fossero state destinate ai paesi poveri, ove l’impronta carbonica è di gran lunga superiore a quella europea.
Fotografia 2018: stiamo andando nella direzione opposta a quella decisa a Parigi nel dicembre 2015 perché gli Stati non stanno mantenendo le promesse
L’impressione generale è che la realtà delle cose è altra dall’immaginario collettivo che se ne ha; che gli obiettivi della ‘rivoluzione climatica’ sono estremamente lontani dai valori attuali; che per riuscirvi bisognerebbe moltiplicare gli sforzi per conseguirli. Che essi si siano invece attenuati proprio dopo la firma dell’Accordo di Parigi la dice lunga sull’effettivo impegno degli Stati a rispettare le promesse allora formulate.
Alberto Clô è direttore responsabile della Rivista Energia
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