In diverse aree del mondo si assiste al ritorno dello Stato nella gestione dei servizi di pubblica utilità. Un ritorno ampiamente documentato su questa Rivista (si veda Energia 1.19, 4.18 e 3.18), da ultimo con l’articolo di Stefano Clô, i cui spunti di dibattito sono stati raccolti da Massimo Mucchetti e Carlo Scarpa che ne propongono un commento sull’ultimo numero di Energia.
Se Mucchetti ne condivide l’approccio riformista che evidenzia i risultati positivi del neo-interventismo, diversa è la posizione di Scarpa che, pur consapevole del fatto che «il processo di privatizzazione non è stato solo di luci né solo di ombre» e che sia utile dibattere di pubblico/privato, appare più preoccupato dei rischi di «fare passi indietro» come nel caso del disegno di legge Daga nel settore idrico che, se approvato, annullerebbe ogni parvenza di mercato e di privato in un settore che avrebbe bisogno di enormi investimenti, che la mano pubblica non sarebbe in grado di realizzare, a tutto danno del benessere sociale.
Conosco alcune scelte politiche così sciagurate da non avere luci, ma non ne conosco una senza ombre
La sua analisi muove dall’osservazione della ciclicità con cui viene riproposto il tema pubblico/privato e del ruolo dello Stato (IL CICLO DELLE PRIVATIZZAZIONI). “Quando Enel fu nazionalizzata, il sistema elettrico nazionale aveva bisogno di grandi investimenti […] in un periodo di finanze pubbliche floride […]. Dopo trent’anni […] ci si rende conto che questo sforzo ha colto l’obiettivo, ma ha anche generato inefficienze colossali, e si decide di privatizzare per conseguire maggiore efficienza”.
Fatale quindi che un’impresa in mano pubblica generi inefficienze? “Forse no, […] la verità è che quando Enel era al 100% in mano pubblica, senza alcuna possibilità di essere messa in mano privata e in un ambiente politico-economico non disponibile alla privatizzazione, era tremendamente inefficiente”.
Domanda alla quale fa da contraltare una seconda: LE PRIVATIZZAZIONI HANNO CONSEGUITO GLI OBIETTIVI LORO ASSEGNATI? “Il fatto che oggi in diversi paesi si parli di un ritorno al pubblico non è casuale. Ma non è facile dire se veramente le privatizzazioni abbiano conseguito tutti gli obiettivi che erano attribuiti loro”. Ad ogni modo, “è poco saggio attendersi che ogni strumento consegua più di un obiettivo”. Diversi erano infatti gli obiettivi che il governo italiano si proponeva di conseguire con la liberalizzazione del mercato elettrico: dalla riduzione del peso dello Stato nell’economia, all’affinamento dell’impianto regolatorio, fino all’aumento dell’efficienza delle imprese di pubblico servizio.
Se le privatizzazioni in Italia non hanno colto l’obiettivo di riduzione strutturale del debito pubblico (quel che non si può conseguire senza un risanamento fiscale più strutturale), non aiuta nella valutazione osservare il livello di investimenti. “Ogni impresa dovrebbe investire quanto è giusto investire date le esigenze del momento. E valutare una privatizzazione (o qualunque altra cosa) comparando il «prima» con il «dopo» non ha molto significato: occorrerebbe confrontare il livello effettivo di investimento con il controfattuale – il livello ottimale di investimento di oggi. E questo è oggettivamente difficile a farsi”.
Interessante è guardare al settore idrico, gestito prevalentemente da imprese pubbliche o enti locali, in cui “purtroppo, il livello di investimento è sicuramente stato per molti anni inferiore a quello necessario”. Una buona ripresa si è avuta quando è cambiata la regolazione del settore, ma questi miglioramenti sono oggi sotto attacco dal disegno di legge c.d. «Daga» che punta proprio a riportare ai Comuni la potestà regolatoria sull’acqua.
Altro elemento di complessità di una valutazione del processo di privatizzazione (ANALISI PARZIALE O APPROCCIO SISTEMICO?) riguarda il fatto che “non può essere effettuata senza considerare le interdipendenze tra le parti che compongono il sistema economico-politico e istituzionale, il quale nel suo complesso presenta caratteristiche difficilmente riconducibili alla somma delle sue parti. Analizzare una politica in isolamento è rischioso”.
Tutto avviene in modo imperfetto, ma la direzione di marcia è quella
“La privatizzazione di Enel ancora non si è compiuta, anzi: i vertici dell’impresa sono tutt’ora nominati dal governo. Ma ci sono altri fattori che contano molto: […] la ristrutturazione dell’impresa, […] la liberalizzazione di alcuni dei suoi segmenti di attività; […] la regolazione evoluta e indipendente dei segmenti non liberalizzati; […] la presenza di capitale privato, anche se non di controllo […] in pratica è veramente difficile pensare a uno di essi senza gli altri. Non avrebbe senso privatizzare senza ristrutturare l’impresa”.
La privatizzazione è quindi da considerarsi un successo o un insuccesso (LA VALUTAZIONE DELLE POLITICHE E DELLA REGOLAZIONE)? “Temo che o questo interrogativo è mal posto, oppure richiederebbe un’analisi molto più complessa e sofisticata di quelle che vedo in giro. E non sono neppure sicuro che anche l’analisi più sofisticata consentirebbe di pervenire a risposte affidabili”.
Dopo queste osservazioni su quanto avvenuto in passato, Scarpa prova a trarre “qualche lezione per l’immediato futuro”. Importante è non confinare il dibattito in una mera prospettiva storica (GUARDARE AVANTI…). “La prima questione da ricordare è che in molti settori – almeno in Italia – di privatizzazioni ne abbiamo viste poche e solo parziali. Ad esempio, Enel ed Eni sono saldamente in mano pubblica, ciò che è ancora più vero nella quasi totalità di trasporto pubblico nazionale e locale”. L’attenzione viene quindi posta sui settori telefonia e idrico, oggi “maggiormente al centro del dibattito”.
Se nel primo il rientro in gioco del denaro pubblico può servire a dispiegare gli investimenti per «le autostrade» del nuovo secolo, con la recente operazione OpenFiber per la banda ultra-larga, dubbi di segno opposto circondano il secondo, “che rappresenta un caso peculiare anche in ragione del paradossale dibattito sull’acqua pubblica, promosso da chi omette di sottolineare come gli operatori privati non servano più del 3% della popolazione nazionale [e dove] il problema è invece la drammatica carenza di investimenti”.
Ciò di cui ci si dovrebbe lamentare, allora, è forse non tanto il comportamento degli azionisti privati ma di quelli pubblici, che sanno di non avere la possibilità di sfondare i bilanci, e quindi devono affrontare dei costi solo quando sanno di avere ricavi adeguati
Se è vero che le argomentazioni contro le imprese pubbliche sono le stesse di trent’anni fa pur a fronte di cambiamenti intercorsi (“È cambiato il contesto istituzionale, è cambiata la mentalità. E alcune imprese pubbliche possono sicuramente essere efficienti ed efficaci”), lo è altrettanto il fatto che “le imprese che magari restano in mano pubblica sono cambiate anche perché la privatizzazione è una prospettiva reale. E abbandonarla in toto significherebbe fare enormi passi indietro”.
Rischio che Scarpa vede come concreto (…MA SOPRATTUTTO EVITARE I PASSI INDIETRO). “Ci si sta provando in questo periodo nel settore idrico. Il recente, pessimo spettacolo delle Ferrovie dello Stato come possibile azionista di Alitalia testimonia quanto sia facile tornare indietro di trent’anni in tre mesi. Il balletto su Autostrade – prima rappresentata come l’anticamera dell’inferno dopo il crollo del ponte Morandi, poi minacciata (invano) della perdita della concessione, infine blandita perché entrasse in Alitalia – ci dice che lo stesso vale per il processo di regolazione”.
In conclusione, “il processo di privatizzazione non è stato solo di luci né solo di ombre. Ma, senza questo processo, sospetto avremmo una struttura pubblica ancora più inefficiente e fragile di quanto sia oggi […]. È meritorio porre il problema di cosa sia andato storto nel grande processo di riforma dei settori di pubblica utilità in Italia (e altrove). Ma pensare di disfarne un pezzo tenendo fermo il resto potrebbe essere illusorio”.
Il post presenta l’articolo Ma la soluzione non è nazionalizzare… (pp. 51-55) di Carlo Scarpa, pubblicato su Energia 2.19
Carlo Scarpa insegna all’Università di Brescia
Sullo stesso tema leggi anche Torni lo Stato, ma senza mance di Massimo Mucchetti
e Rischi e opportunità del ritorno dell’impresa pubblica di Stefano Clô
Foto: Luis Quintero / Pexels
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