È ben noto come una buona notizia non faccia notizia. Diversamente dal catastrofismo che conosce in tema ambientale, specie di cambiamenti climatici, la sua sublimazione. Non essendovi in tal caso limite al peggio.
Ogni disastro quanto più incredibile tanto più viene paventato come possibile se non probabile, come la scomparsa “della Torre di Pisa” e della Statua della Libertà entro i prossimi duemila anni. Il biologo, fisiologo, ornitologo, geografo americano vincitore del premio Pulitzer Jared Diamond ha scritto: “O avremo realizzato un’economia sostenibile entro il 2050 o avremo cancellato tutto in modo irreversibile. E nel secondo caso precipiteremo in un’altra Età della Pietra o, peggio, lasceremo il posto a topi e insetti”. Essendo quella data praticamente dopo-domani non vi è gran speranza di farcela.
Ma il catastrofismo climatico premia? Che le cose non vadano bene, anzi vadano malissimo, non vi è alcun dubbio. E gli eventi atmosferici estremi lo stanno a dimostrare, a prescindere dal fatto che siano o meno ricollegabili al surriscaldamento del Pianeta. La politica fa poco o nulla, come si è visto al Summit dei G20 di Osaka che ha cancellato dal comunicato finale l’espressione “global warming”. Un gran numero di imprese si adopera, anche se in molti casi si tratta di operazioni di green washing. Penso che il catastrofismo mediatico – spesso interessato a muovere le cose in una certa direzione tecnologica ed economica – non premi affatto.
Ha semmai l’effetto di generare convincimenti contrari a quelli attesi. Un esito condiviso dall’antropologo indiano Amitav Ghosh che ha evidenziato come alla lunga sequenza di disastri ambientali degli ultimi anni ha fatto seguito un “declino nella classifica delle preoccupazioni della gente” verso tale tema, anche nei paesi come India e Pakistan che più ne sono afflitti, come conferma, da ultimo, l’attuale crisi idrica di Chennai.
Il neo-catastrofismo ambientalista descrive uno stato del Pianeta peggiore di quel che effettivamente è
Il neo-catastrofismo ambientalista – perché ogni epoca storica ha avuto il suo catastrofismo – non si limita poi a elencare quel che di drammatico potrebbe accadere ma si accanisce a descrivere uno stato del Pianeta peggiore di quel che effettivamente è, trascurando di menzionare qualsiasi indicatore che segnali anche il minimo miglioramento – si pensi alle guerre quasi vinte contro piogge acide e buco dell’ozono –così diffondendo uno scetticismo corrosivo che mina ogni fiducia sulla capacità di migliorare le cose: il peggior nemico della lotta ai cambiamenti climatici.
Le cose non stanno così, quasi che a evidenziare quel che di positivo si è ottenuto sia di disincentivo a migliorarle ulteriormente. Anche quest’anno si è celebrato il 22 aprile, la Giornata Mondiale della Terra, l’Earth Day, che si tiene ogni anno dal 1970. Ebbene, se si ripercorrono i catastrofismi paventati in questi 49 anni ci si rende conto che non uno si è verificato.
Delle molte catastrofi paventate negli anni, non se ne è verificata alcuna
Nella prima edizione l’ecologista Kenneth Watt paventava per il 2000 la fine del petrolio. Nel 2019 se ne è prodotto il 90% in più del 1970. La povertà energetica resta indubbiamente una piaga da combattere ma le cose, anche qui, sono migliorate e di molto.
Le statistiche della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite attestano che povertà energetica e fame nel mondo sono state drasticamente ridotte. L’Agenzia di Parigi ha dichiarato che per la prima volta il numero di persone prive di elettricità è sceso sotto il miliardo, rispetto a 1,2-1,3 di non molti anni fa, mentre l’Environment Protection Agency americana nel suo ultimo rapporto sugli indicatori della qualità dell’aria negli States dimostra come le emissioni dei sei maggiori inquinanti si sia ridotta del 73% tra 1970 e 2017.
Crescita delle economie e la libertà economica sono alla base dei miglioramenti ambientali registrati negli ultimi 50 anni
Le ragioni che più spiegano questi miglioramenti sono la crescita delle economie e la libertà economica. L’Heritage Foundation e la Yale University dimostrano l’alta correlazione che corre tra libertà economica e performance ambientali. “Le previsioni catastrofiche ma improbabili – scrive Nicolas Laris dell’Heritage Foundation – continueranno ad accaparrarsi i titoli dei media, ma sono le società libere e la protezione dei diritti di proprietà i veri percorsi verso un mondo più sano e pulito”.
Visione con cui concordiamo pienamente e che si contrappone all’odierna tendenza – da Londra a Parigi – a voler rivoluzionare dall’alto economie e modi di vivere imponendo restrizioni dei gradi di libertà. Con il duplice rischio di risultare di scarso rilievo nella lotta ai cambiamenti climatici e suscitare al contempo l’astio delle popolazioni verso la risoluzione del problema.
Alberto Clò è direttore responsabile della Rivista Energia
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