8 Luglio 2019

ARERA: buona la prima?

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Nei giorni scorsi si è tenuta la prima relazione annuale del nuovo collegio dell’Autorità di regolazione di elettricità, gas, acqua, rifiuti: ARERA nella sua ultima denominazione, la quarta. La relazione del Presidente Stefano Besseghini ha raccolto, da quel che si è letto, ampi apprezzamenti. Non essendo condizionato da interessi di parte esprimo in tutta franchezza la mia opinione di parziale delusione.

Per più ragioni. Primo: la puntuale rendicontazione di quanto fatto dall’Autorità nel suo primo anno di vita non ha aggiunto gran che a quel che già si sapeva essendo i suoi lavori monitorati continuamente da diverse agenzie. Quindi: nulla di nuovo.

La rendicontazione, accountability, non può ridursi ad una mera elencazione di quel che è stato fatto o si farà

Lo stesso può dirsi dei dossier aperti su cui avrà voce in capitolo. La rendicontazione, accountability per dirla col termine analizzato nella infinita bibliografia sulla regolazione, tipica di ogni sistema di controllo, non può ridursi tuttavia ad una mera elencazione di quel che è stato fatto o si farà. Nel volume “Understanding regulation” Robert Baldwine e Martin Cave ne elencano oltre dieci tipologie.

Accountability, rispetto a chiunque sia interessato dalle sue decisioni, dal Parlamento ai cittadini, è in primo luogo dar conto della filosofia regolatoria che ha improntato l’azione dell’Autorità – specie quando si tratta di nuove consiliature – e chi nella contrapposizione di interessi tra venditori e consumatori abbia vinto o perso.

Manca una relazione sullo stato di salute della concorrenza del mercato elettrico nel nostro Paese

Qui sorge una seconda ragione della mia delusione: l’assenza di ogni cenno sullo stato di salute della concorrenza del mercato elettrico nel nostro Paese, alla cui promozione, vale rammentare, dovrebbe primariamente mirare l’azione del regolatore (art. 1, c. 1 legge 481/1995).

Osservando i dati che Acer ha pubblicato sull’andamento dei prezzi all’ingrosso e retail dell’elettricità (si veda il mio post del 29 ottobre) emerge con evidenza come negli ultimi anni quelli all’ingrosso abbiano registrato una non indifferente riduzione mentre quelli retail (per la sola parte energia) siano aumentati in misura altrettanto non indifferente. Conclusione: i margini per le imprese, misurati dall’Acer in termini di mark up (proxy dei profitti), sono mediamente raddoppiati dal 2008 al 2017.

I margini per le imprese sono mediamente raddoppiati dal 2008 al 2017 a scapito dei consumatori

I consumatori non hanno certamente vinto. Una divaricazione di tal fatta indica infatti in modo netto che il mercato finale non può dirsi effettivamente concorrenziale, al di là dell’incredibilmente elevata numerosità delle imprese (638 nel mercato libero!) che si è accompagnata, nelle parole di Besseghini, ad un aumento del tasso di concentrazione del mercato.

Da qui, terza ragione, si impone una domanda: sulla base di quali elementi fattuali l’Autorità ritiene che l’eliminazione della ‘maggior tutela’ inneschi comunque una concorrenza virtuosa a vantaggio dei consumatori (e a discapito dei venditori)?

E ciò, si badi bene, indipendentemente dal modo in cui verrà ripartita tra i venditori la platea dei 19 milioni di consumatori che ancora preferiscono restare nella ‘maggior tutela’. Pari, per quelli domestici, al 56,6% del totale.

E la si smetta di indicarli sprezzantemente come consumatori ‘inconsapevoli’, per usare la dizione dell’Autorità, disinformati, non avveduti, insomma un po’ stupidi secondo la mirabile definizione che ne ha dato Carlo Maria Cipolla.

O l’Autorità ritiene che i mercati dell’elettricità siano pienamente concorrenziali, e può quindi ridurre l’asfissiante regolazione, o che non lo siano, e allora non può sostenere che con la fine della maggior tutela la “concorrenza trionferà”

E qui veniamo a un punto dirimente. Perché delle due l’una: o l’Autorità ritiene che i mercati dell’elettricità (ingrosso e retail) siano pienamente concorrenziali e allora, come insegna la teoria e una consolidata prassi, deve retrocedere dall’asfissiante regolazione dei mercati che ha sinora svolto; oppure, ritiene che non siano ancora pienamente concorrenziali e allora continui nella sua intrusione, smentendosi però nel dire che togliendo la maggior tutela la “concorrenza trionferà”.

Scriveva nel lontano 1983 Steven Littlechild, il padre della regolazione moderna: “Competition is by far the most effective means of protection against monopoly. Vigilance against anti-competitive prices is also important. Profit regulation is merely a ‘stop-gap’ until sufficient competition develops”.

Nel nostro mercato elettrico – che va progressivamente restringendosi – a venti anni esatti dalla sua liberalizzazione come siamo messi? Ritiene l’Autorità che l’obiettivo del PNIEC di puntare ad una piena ‘competitività dell’energia’ – minori prezzi e minor gap verso gli altri paesi – possa essere ragionevolmente raggiunto? E in caso affermativo, come conciliare tale aspettativa con quella scritta nel PNIEC (pag.80) che “un progressivo incremento delle risorse familiari destinate alla spesa energetica potrebbe inasprire il fenomeno della povertà energetica”?

La previsione in sostanza di un ulteriore aumento dei prezzi. Una qualche presa di posizione su questo dilemma – ciò a cui i consumatori poi interessa – sarebbe stata auspicabile.


Il peso della regolazione è andato aumentando esponenzialmente fino a circa 90 deliberazioni al mese

E veniamo all’ultimo punto: l’ipertrofia regolatoria. Il peso della regolazione – se la si misura dal numero di delibere, pareri, documenti, persone che impegna, costo dei contenziosi, etc. – è andato aumentando esponenzialmente contandosi deliberazioni nell’arco di un anno non lontane dalle 1.000 (circa 90 al mese, 22 a settimana).

Giovanni Goldoni, uno dei più attenti studiosi di regolazione nel nostro Paese, ha scritto su Energia: “Nell’attività recente dall’AEEG si sono osservati […] una profusione di delibere con un livello di complessità superiore allo stretto indispensabile, e una proliferazione di difetti di coerenza nella regolamentazione non imputabili a problemi insormontabili di razionalità limitata o asimmetria informativa. L’effetto collaterale di queste anomalie è gonfiare a dismisura costi di regolamentazione non strettamente necessari ma ad essa direttamente attribuibili, che l’AEEG cerca di occultare, non garantendo con la stessa frequenza e tempestività del passato la completa trasparenza e la piena accountability della sua attività, ovvero la corrispondenza dei mezzi ai fini della regolamentazione”.

Correva l’anno 2010 e le cose da allora sono di molto peggiorate, ciò di cui la relazione avrebbe dovuto trattare. Penso, per finire, che una critica costruttiva all’operato dei regolatori da parte di altri regolatori, accademici, studiosi sia utile se non doverosa. Vale rammentare la straordinaria esperienza in tal senso che si ebbe annualmente dal 1991 con le ‘Lectures’ ideate dal professore Michael Beesley– a cura della London Business School e dell’Institute of Economic Affairs – che avevano l’obiettivo di creare un forum di discussione, spesso aspra, sull’utility regulation e competition policy.

Un’iniziativa che sarebbe utile replicare nel nostro Paese rendendo così ‘trasparente’ la valutazione oggi non tale che si dà dell’operato dei nostri regolatori.    

Alberto Clô è direttore responsabile di Energia

Foto: Lloyd Dirks / Unsplash

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