Vi sono molti modi per scrivere una notizia, certamente il punto di vista di chi la scrive è fondamentale per raccontare una vicenda.
Ma quando si tratta di geopolitica, il punto di vista – spesso prodotto della narrativa dominante – non basta. Il rischio infatti è di non cogliere la complessità delle relazioni statuali, risultato stratificato di decisioni prese in tempi lontani a cui si aggiungono interessi attuali e nuovi equilibri regionali.
È il caso, per esempio, dell’annosa questione turco-cipriota dentro la quale si è inserita negli ultimi anni anche una importante variabile che ha reso quest’area ancor più strategica: la scoperta di consistenti risorse di gas naturale offshore. Ormai sotto la lente di ingrandimento di tutti gli analisti politici, le tante questioni irrisolte sembrano sempre più insormontabili e gli schieramenti sempre più arroccati sulle proprie posizioni.
Le questioni irrisolte sembrano sempre più insormontabili e gli schieramenti sempre più arroccati sulle proprie posizioni
Dopo il caso del blocco della nave dell’Eni Saipem 12000 lo scorso anno, nuovo motivo di tensione è derivato da una nuova scoperta di gas nel pozzo Glaucus-1 con un potenziale di risorse stimato tra i 142 e i 227 miliardi di metri cubi. Sostanzialmente, da una parte si ritiene che le tensioni nel Mediterraneo Orientale siano frutto delle minacce di Ankara che punta ad accaparrarsi le risorse di gas scoperte al largo delle coste di Cipro. Dall’altra, chi condanna le mosse unilaterali dell’Amministrazione greco-cipriota che procede nell’esplorazione delle risorse senza valutare la proposta turca di istituire una commissione congiunta per la cooperazione che affronti la questione della sovranità delle acque. Peraltro, si ritiene che ogni iniziativa nell’area non possa prescindere da un previo accordo con la comunità turco-cipriota, altrimenti esclusa dai benefici economici connessi all’attività di esplorazione energetica.
AREA DI ESPLORAZIONE CONTESA TRA CIPRO E TURCHIA
Chi ha ragione, chi ha torto?
O, forse, la domanda giusta da porsi è: come risolvere la situazione? Situazione che, vale ricordare, si protrae da decenni in un’escalation di conflittualità che, qualora esplodesse, avrebbe ripercussioni non solo locali ma di impatto regionale e globale. Alla luce di un tale stallo, urge un’altra domanda: conviene – come Italia e come Europa – alimentare un conflitto in un’area così prossima?
Chi ha ragione, chi ha torto? Conviene all’Italia e all’Europa alimentare un conflitto in un’area così vicina?
La risposta è lapalissiana, le politiche da attuare un po’ meno.
Fare leva sulla cooperazione regionale è più che mai necessario. L’area è strategicamente rilevante per l’Italia e per l’Europa non solo perché molto vicina in termini geografici o perché confinante con un’area già ‘calda’ come è il quadro siriano, ma anche per il ruolo che gioca in termini di diversificazione energetica e per la presenza di imprese nazionali le cui attività sono già state rallentate e potrebbero essere definitivamente compromesse.
Meno conveniente lo sarebbe invece per altre potenze come Germania e Russia, la prima interessata a potenziare i flussi in entrata nel Nord Europa (Nord Stream 2) e divenire hub del gas europeo; la seconda che punta a creare una direttrice meridionale del gas russo in Europa tramite la Turchia, realizzando nuove vie (Turkish Stream) o cercando di entrare in altre già esistenti (TAP).
E l’Italia? La politica italiana tace su questo fronte mentre potrebbe farsi promotore di un processo di confronto e distensione tra le parti. Proiettata verso lo sviluppo delle ampie risorse metanifere del Mediterraneo per acquisire un ruolo centrale di snodo energetico nel Sud Europa, avrebbe tutto l’interesse a ridurre le tensioni nell’area e costruire una via di cooperazione con la Turchia. Ankara, infatti, costituirebbe una delle vie più competitive per portare il gas del Mediterraneo Orientale in Europa, potendo sfruttare condotte già esistenti da collegare ai giacimenti offshore.
La politica italiana tace su questo fronte mentre potrebbe farsi promotore di un processo di confronto e distensione tra le parti
Si potrebbe persino palesare la possibilità di trasportare il gas tramite la Turchia al gasdotto TAP prenotando la capacità messa a disposizione nella seconda fase di ampliamento e bloccando così le mire russe di entrare nella pipeline. Scenario, quest’ultimo, che renderebbe di fatto nullo il motivo stesso per il quale era stato pensato ovvero la diversificazione degli approvvigionamenti e la riduzione della dipendenza da Mosca.
Il clima politico pone una sfida anche alla diplomazia europea, il cui intervento è più che mai centrale non solo perché la questione turco-cipriota coinvolge direttamente la stabilità interna di uno Stato membro ma anche perché ingloba questioni politiche delicate, come le relazioni tra Europa e Turchia e lo status dei ciprioti del nord nel cui territorio l’UE ha sospeso l’applicazione dell’acquis communautaire (e il riconoscimento di cittadini europei).
Una sfida complessa che richiede compromessi politici di scarso appeal elettorale ma di indubbio vantaggio di lungo termine. Come per ogni sfida, si nasconde sempre dietro un’opportunità. Bisogna solo capire se vi è la volontà politica di trovarla, da parte di tutte le parti in causa.
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