Il 3 novembre 2020 si terranno le elezioni americane. Donald Trump, praticamente senza avversari tra i Repubblicani, ha già lanciato la sua campagna elettorale per ricandidarsi col nuovo slogan “Keep American Great”. Sul fronte Democratico – simboleggiato dall’Asinello – vi è ancora una gran rissa di candidati, ben 24, tra cui Joe Biden, ex-vicepresidente di Obama, dato per favorito.
Secondo la maggior parte dei sondaggi la riconferma di Trump è tutt’altro che scontata alla luce anche delle elezioni di mid-term del novembre scorso che hanno visto i Democratici riconquistare la Camera ma il Senato rimanere ai repubblicani.
Uno dei temi caldi su cui si giocherà la partita sarà quello delle politiche energetico-climatiche. Diversamente da quanto accadde nella campagna del 2016 quando né Donald Trump nè Hillary Clinton sfiorarono minimamente la questione ambientale, con la dura reazione di Paul Krugman che sul “New York Times” scrisse che “non affrontarla è irresponsabilmente criminale”.
Nello scontro politico che questa volta si va prefigurando un’involontaria mano a Trump potrebbe venire dai democratici con l’improvvida proposta legislativa del ‘Green New Deal’ (GND) formulata dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez e dal senatore Ed Markey, che riecheggia il piano di riforme di Franklin D. Roosevelt di 76 anni fa per risollevare le sorti dell’America dopo gli anni della Grande Depressione.
Il nuovo New Deal fu proposto molti anni fa, nel 2007, dal columnist del ‘New York Times’ Thomas Friedman convinto, ebbe a scrivere, che “We are the true patriots. We’re talking about American economic power, American moral power, American geopolitical power. Green is geostrategic, geoeconomic, patriotic, capitalistic.”.
Il Green New Deal è un piano per rivoluzionare l’economia e la società americana
Obiettivo del GND è di ridurre le emissioni di gas serra sino al 60% dal 2030 (rispetto al 2010) e azzerare quelle nette al 2050. Ma a ben vedere è molto di più di una politica energetico-climatica: è un piano per rivoluzionare l’economia e la società americana, modificando il modo in cui producono e consumo l’energia; allevano gli animali; costruiscono abitazioni; guidano le automobili e via andare. Il tutto in appena dieci anni.
All’entusiastico sostegno dei movimenti e lobby ambientaliste si sono contrapposte reazioni negative non solo del mondo repubblicano ma anche di una larga parte di quello democratico. Perché proposta di stampo prettamente dirigista, dai costi elevatissimi con un aumento, secondo i calcoli contenuti in un rapporto di Heritage Foundation, di 8.000 dollari all’anno per famiglia di quattro persone, la perdita di 1,2 milioni di posti di lavoro all’anno sino al 2040, un minor prodotto interno loro di oltre 15 mila miliardi di dollari.
Una proposta invisa all’elettorato moderato americano che vede nella libertà d’impresa, nell’economia di mercato i pilastri del sistema americano. Critiche che riecheggiano quelle mosse al Piano del presidente democratico Jimmy Carter che nel 1977 nella stanza del caminetto, nel famoso ‘cardigan speech’, reclamizzava i panelli solari che aveva fatto istallare sui tetti della Casa Bianca annunciando che dal 2000 l’America avrebbe tratto dal sole il 20% dei suoi fabbisogni di energia (non andò oltre lo 0,4%).
Lo stesso anno, Milton Friedman, insignito da poco del Nobel per l’economia, scrisse che il Piano di Carter “è una mostruosità. Se realizzato, significherà un enorme passo degli Stati Uniti verso uno stato corporativo, una centralizzazione, un controllo federale”. Critiche non dissimili da quelle mosse oggi al ‘Green New Deal’ che nel merito non si limita a sostenere il tout renouvelable nella generazione elettrica (con soldi pubblici) ma contiene numerose misure di natura sociale (assistenza sanitaria gratuita, salario di sussistenza familiare; fornitura di alloggi etc.) che nulla hanno a che fare con le tematiche ambientali.
Il Green New Deal non si limita a sostenere il “tutto rinnovabili”, ma contiene numerose misure di natura sociale che nulla hanno a che fare con le tematiche ambientali
Un Piano che, sostengono molti organismi, farebbe deragliare il sistema americano verso il socialismo, modificando drasticamente lo stile di vita degli americani. Il citato rapporto di Heritage Foundation così conclude: “Instead of implementing economically destructive policies of more taxes, regulations, and subsidies, federal and state policymakers should remove government-imposed barriers to energy innovation. Allowing all forms of energy to compete equally in a free market will enable the U.S. to make tremendous strides in terms of a healthy economy as well as a healthy environment”.
La decisione definitiva spetterà comunque agli elettori. I sondaggi più accreditati certificano che al di là delle forti differenze tra Democratici e Repubblicani sulla gravità dei cambiamenti climatici (80% vs. 30%) e sulle fonti energetiche su cui puntare – il 60% dei Democratici è per le rinnovabili mentre il 60% dei Repubblicani per l’uso delle risorse domestiche di petrolio, gas, carbone – vi è tra loro pieno accordo su due punti: che le politiche climatiche debbano aiutare o non colpire l’economia americana (70%); che il loro stile di vita non abbia a modificarsi (90%). Preferenze che in entrambi i casi rafforzerebbero le chances di vittoria di Donald Trump.
Alberto Clô è Direttore Responsabile di Energia
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