Lo scorso 12 marzo, il Governo spagnolo è stato destinatario di una nuova pronuncia negativa in merito ai tagli retroattivi alle tariffe incentivanti al fotovoltaico disposti tra il 2013 e il 2014. Il contenzioso vedeva la società statunitense NextEra Energy opporsi alla rimodulazione degli incentivi voluta dal Governo Zapatero. Non è la prima volta che il Regno di Spagna viene coinvolto in procedure di arbitrato internazionale da parte di investitori stranieri che hanno visto sfumare la possibilità di fruire degli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in particolare nel settore del fotovoltaico. Lo Stato spagnolo dovrà pagare a NextEra ben 290,6 milioni di euro a titolo di risarcimento per la mancata percezione degli incentivi su cui gli investitori avevano fatto affidamento, oltre gli interessi e le spese del procedimento (circa 5,3 mil. euro).
Ma cosa è realmente accaduto? Per un’analisi puntuale, è necessario tornare indietro di qualche anno. Nell’agosto 2005, il governo spagnolo aveva fissato l’obiettivo di capacità fotovoltaica da installare a livello nazionale entro il 2010 a 400 MW, cui fece seguito, nel maggio del 2007, il Real Decreto 661/2007 che mirava a regolare e incentivare gli impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile con potenza massima installata pari a 50 MW e in possesso di determinati requisiti (Impianti a Regime Speciale). I produttori potevano optare ogni anno quale meccanismo incentivante applicare alla vendita di energia del relativo impianto: se direttamente attraverso la rete di distribuzione nazionale beneficiando della feed-in-tariff, otramite contratti bilaterali o su un mercato organizzato epercependo il prezzo di mercato liberamente negoziato dal produttore oltre un premio incentivante(Pool-and-Premium).
296 mil. euro la cifra che lo Stato spagnolo dovrà versare nel contenzioso con NextEra, altri procedimenti sono tuttora pendenti
Già nell’agosto 2007 era stato superato l’85% dell’obiettivo fissato e, a maggio 2008, erano stati installati 1.000 MW di potenza fotovoltaica. La crescita fu tale da portare nel 2014 la generazione da fonti rinnovabili al 51,7% del totale. Ne è conseguito un progressivo crollo dei prezzi all’ingrosso dell’energia che ha messo in crisi il settore termoelettrico. In risposta, il Governo spagnolo decise tra il 2013 e il 2014 di invertire la rotta, riducendo in modo drastico e inatteso gli incentivi alle rinnovabili (Regio Decreto-Legge 2/2013 e 9/2013). Una riforma graduale, temuta tanto dai produttori quanto dagli investitori nel settore.
I tagli agli incentivi varati dal Governo hanno trovato l’avallo della Corte Costituzionale spagnola, che, prima nel dicembre 2015 e poi nel febbraio 2016, ha rigettato due questioni di legittimità costituzionale. Sebbene il Governo spagnolo abbia giustificato la sfortunata riforma con la necessità di ridurre i costi degli incentivi del settore dell’energia elettrica, gli investitori internazionali non hanno tardato a manifestare il proprio disappunto, coinvolgendo la Spagna in una serie di arbitrati internazionali in applicazione dell’Energy Charter Treaty (ECT), che nel corso dei suoi 20 anni di applicazione si è rivelato sempre più efficace per la tutela degli investimenti nel settore energetico.
Anche l’Italia, con il cosiddetto Spalmaincentivi del gennaio 2016, ha rivisto il suo generoso programma di incentivi per il settore fotovoltaico suscitando un’ondata di richieste di tutela che non pare arrestarsi. Quali differenze con il caso spagnolo? Andiamo incontro ai medesimi rischi?
Attualmente, avverso lo Stato italiano sono pendenti 7 procedimenti (Silver Ridge Power, Belenergia, Espf Beteiligungs e InfraClass Energie, VC Holding II e altri, Eskosol, Sun Reserve Luxco Holdings e Cef Energia BV). Nel 2018, inoltre, l’Italia è già stata condannata dalla Camera di Commercio di Stoccolma al pagamento di 7,4 mil. euro in favore della danese Athena Investments e molti investitori stranieri, anche sulla scorta dell’analoga recente esperienza spagnola, stanno considerando di avvalersi della tutela offerta dall’ECT.
L’Italia è uscita dell’Energy Charter Treaty in concomitanza con lo Spalmaincentivi, ma ciò non la pone al riparo da eventuali pretese di risarcimento
La decisione del Governo Renzi di recedere dall’ECT (in concomitanza con il varo dello Spalmaincentivi) non mette l’Italia al riparo da eventuali pretese di risarcimento a cascata, e anzi presta il fianco a una serie di criticità che necessitano di un’adeguata analisi giuridica da svolgersi caso per caso.
Un cenno a parte meritano, poi, le centinaia di azioni giurisdizionali intraprese, innanzi ai nostri organi di giustizia amministrativa, dagli operatori economici italiani ed esteri, titolari di impianti fotovoltaici beneficiari del regime di incentivazione interessati dallo Spalmaincentivi. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 16 del 24 gennaio 2017, che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR del Lazio, si registra attualmente una fase di stallo in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Quattro le argomentazioni della Corte Costituzionale (a dire il vero poco convincenti, come nel caso dell’apodittica dichiarata compatibilità delle norme censurate con il diritto europeo):
- non sarebbe stato violato l’art. 77 della Costituzione, in quanto la norma censurata sarebbe stata introdotta del tutto legittimamente mediante decreto legge, attese le sottese ragioni di urgenza;
- non sarebbero neppure state violate le plurime disposizioni costituzionali ed europee e i connessi principi di legittimo affidamento, irretroattività ed eguaglianza, in quanto la norma censurata non avrebbe inciso sui rapporti di durata in modo irrazionale, illogico e imprevedibile;
- non sarebbe stato violato neanche il principio del legittimo affidamento sulla stabilità dell’incentivo, posto che la garanzia di permanenza dell’incentivo non implica che la correlativa misura debba rimanere, per venti anni, immutata e del tutto impermeabile alle variazioni proprie dei rapporti di durata;
- parimenti infondata risulterebbe anche la questione di legittimità della nuova modalità di pagamento delle tariffe incentivanti (comma 2, art. 26), atteso che tale modalità non penalizza gli operatori del settore, ai quali, a regime, garantisce addirittura una maggiore certezza e stabilità dei flussi finanziari, per effetto del previsto meccanismo di anticipazione/conguaglio, basato sulla corresponsione di rate mensili di importo costante e successivo.
Diversamente da quanto prospettato, secondo la Corte Costituzionale lo Spalmaincentivi rappresenterebbe un intervento di interesse pubblico volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali
La pronuncia della Corte Costituzionale, sebbene molto rilevante ai fini dell’impugnazione promossa contro lo Spalmaincentivi, tanto da spegnere le speranze di molti operatori, non ha però esaurito tutte le censure sollevate nei confronti di tale intervento. Con l’ordinanza del TAR del Lazio n. 11206/2018 sono infatti stati rimessi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i profili concernenti la compatibilità del decreto con l’ordinamento europeo. Tale fronte rappresenta ancora una concreta speranza per ottenere giustizia, tanto per gli investitori stranieri che per quelli nazionali.
Al di là della speranza che, almeno a livello europeo, si riesca finalmente a confrontarsi sul merito giuridico della questione, ristabilendo il primato – gravemente leso in questa vicenda – della rule of law, senza nascondersi dietro a formule vacue di discrezionalità politica e di bilanciamento (retroattivo) degli interessi, incompatibili con un’avanzata economica di mercato in regime di libera concorrenza (come dovremmo aspirare a essere), la vicenda processuale che ha interessato prima il TAR del Lazio e poi la Corte Costituzionale ha mostrato evidenti limiti sia sul fronte dell’accesso alla giustizia che dello stesso diritto di difesa.
Una brutta pagina per la giustizia amministrativa, da voltare ristabilendo il primato gravemente leso della rule of law, senza nascondersi dietro a formule vacue di discrezionalità politica
Una brutta pagina per la giustizia amministrativa, che – anche per il numero impressionante di ricorsi proposti – ha messo in crisi i meccanismi di accesso alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Meccanismi che, se si vuole garantire l’effettività del principio costituzionale di azionabilità delle situazioni giuridiche soggettive, andrebbero corretti posto che, come le parallele vicende degli “sbilanciamenti” e delle “reti interne di utenza” lasciano presagire, il settore dell’energia è destinato ad essere sempre più vittima di interventi legislativi/regolatori dal sapore arbitrario e retroattivo, mossi da fini che con la promozione degli investimenti e con lo sviluppo di un mercato energetico concorrenziale hanno poco a che fare.
L’auspicio è che, al pari di quanto avvenuto in Spagna, una sentenza non felice della Corte Costituzionale non sia altro che una sconfitta in una singola battaglia a fronte di una giusta vittoria degli investitori nelle sedi internazionali.
Lorenzo Parola, Teresa Arnoni, Vanessa Nobile, Herbert Smith Freehills LLP
Fabio Angelini, Publius Angelini & Partners
Per aggiungere un commento all'articolo è necessaria la registrazione al sito.
0 Commenti
Nessun commento presente.
Login