22 Agosto 2019

Blockchain: cos’è e come può servire la causa climatica

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Più che una tecnologia, la blockchain è un processo tecnologico che garantisce trasparenza attraverso certificazione, sicurezza, certezza temporale e immutabilità. Elaborata da Satoshi Nakamoto nel 2008, la blockchain è rimasta nella sua fase embrionale relegata alla comunità di hacker, speculatori e “minatori” informatici. Non va tuttavia confusa con il bitcoin o altre cryptovalute, che si appoggiano a questa tecnologia (e per alcuni aspetti la supportano) ma non vanno con essa identificate né sovrapposte.

Pur mancando ancora un impiego che ne esalti a pieno le potenzialità (killer application), la blockchain ha ormai raggiunto una maturità tecnologica accettata anche da economisti tradizionali. Nell’ottobre 2015 The Economist ne sancisce una piena riconoscibilità definendola una “macchina della verità” (trust machine).

Un sistema di certificazione che, secondo Agime Gerbeti e Fabio Catino che ne trattano su Energia 2.19 con l’articolo Blockchain e tracciabilità delle emissioni industriali, può avere un’importante applicazione anche in ambito energetico-ambientale in quanto consente di tracciare le emissioni di beni complessi come cellulari, automobili etc. assemblati con una moltitudine di materiali e di processi, spesso in nazioni e in contesti energetici differenti.

Grazie alla blockchain è possibile tracciare le emissioni di beni complessi e contrastare in questo modo il fenomeno del carbon leakage

Una tracciabilità che consentirebbe di ovviare ad una delle maggiori falle finora incontrate nei tentativi di ridurre le emissioni globali di CO2: il cosiddetto carbon leakage. Fenomeno che la Commissione definisce come “trasferimento delle emissioni di CO2 che può verificarsi se, per ragioni di costi dovuti alle politiche climatiche, le imprese intendono trasferire la produzione in paesi in cui i limiti alle emissioni sono meno rigorosi. Ciò potrebbe portare ad un aumento delle loro emissioni totali”.

Le emissioni in sostanza dovrebbero essere calcolate non al momento della produzione di un bene, ma a quello del suo consumo, così da conteggiare anche i beni prodotti altrove e poi importati. Altrimenti si rischia un gioco delle tre carte che consente ipocritamente di vantare numeri virtuosi che non riflettono la realtà delle cose.

Ma come funziona la tecnologia blockchain?

Gerbeti e Catino la definiscono come un sistema che funziona “non diversamente dal libro Mastro di un notaio rinascimentale che certificava una compravendita immobiliare presso una banca, per esempio dei Medici a Firenze. La transazione, dopo verifica del possesso di moneta dell’acquirente e della disponibilità del bene del venditore, veniva annotata nel libro Mastro. A passaggio avvenuto, tutti i fiorentini potevano sapere che quella determinata casa non era più di proprietà del venditore, ma dell’acquirente”.

La blockchain funziona come una sorta di libro Mastro di un notaio rinascimentale, ma distribuito e più complesso

Ma diversamente da questo processo che prevede un controllo centralizzato la blockchain è un database distribuito, “una sorta di libro Mastro inserito in un network in cui ogni nodo partecipante alla rete ne possiede l’originale. Ciascuno di questi nodi può inoltre aggiornare tutti gli altri «libri Mastri» originali presso ogni distributed ledger in maniera «indipendente dagli altri ma sotto il controllo consensuale degli altri nodi»”.

Un’analogia proposta dagli autori può aiutare a comprendere meglio:

“Immaginiamo dieci persone presenti in una stanza e in attesa di corrispondenza. La blockchain funziona come se si mandasse a queste persone una lettera contenente delle volontà in busta chiusa, sigillata a cera. Tali volontà potrebbero essere modificate e cambiate fino al momento in cui il primo dei presenti non abbia la capacità – nel caso reale della blockchain la potenza di calcolo – di rompere il sigillo. A quel punto tutti i partecipanti avrebbero conosciuto il testo (trasparenza), certificandone conseguentemente il contenuto/significato. In quel momento il testo avrebbe acquisito necessariamente la connotazione di testo immutabile, a meno che il mittente e tutti i dieci riceventi non fossero d’accordo nel modificarlo. Se quella lettera fosse una compravendita e i dieci destinatari fossero i dieci notai, vedremmo che gli aggiornamenti, per esempio dei passaggi di proprietà di un certo immobile, non sarebbero controllati da un’autorità centrale, e ciascun «nodo» partecipante alla catena sarebbe «in grado di processare e controllare ogni transazione ma nello stesso tempo ogni singola transazione, ancorché gestita in autonomia, [potrebbe] essere verificata, votata e approvata dalla maggioranza dei partecipanti alla rete»”.

“In realtà” proseguono gli autori “la blockchain crea ancora maggiori complessità e sicurezza in merito alle informazioni certificate, in quanto la transazione contenuta nella lettera non viene immediatamente «risolta» attraverso la rottura del sigillo di cera, ma inserita in un insieme, in una sorta di cassaforte digitale, un blocco di transazioni collegate tra loro in rete dove ciascuno di questi blocchi viene analizzato e «risolto» da uno dei partecipanti alla catena. In questo modo non è possibile modificare una specifica transazione senza aprire la cassaforte che contiene, oltre a quella, molte altre transazioni. Il costo in termini di potenza di calcolo per analizzare e risolvere tale blocco viene remunerato in bitcoin o in un’altra cryptovaluta”.

“Quindi la blockchain, letteralmente la catena dei blocchi, è un database di blocchi ognuno contenente più transazioni dove ciascun nodo è un archivio di tutta la blockchain e della relativa marca temporale – ossia «quella transazione in quel momento» – e di tutti i blocchi con lo storico di tutte le transazioni. Ogni transazione è modificabile solo se riproposta da chi l’aveva effettuata originariamente e riapprovata dall’intera rete contemporaneamente. Da qui la cosiddetta immutabilità”.

Il post riprende e in parte rielabora dei passaggi dell’articolo Blockchain e tracciabilità delle emissioni industriali (pp. 56-61) di Agime Gerbeti e Fabio Catino pubblicato su Energia 2.19

Agime Gerbeti è Professoressa di Sostenibilità Ambientale e Sociale presso la Libera Università Maria Santissima Assunta e Presidente del Consiglio Scientifico AIEE
Fabio Catino è Advisor dell’Agenzia qualità dei servizi pubblici locali di Roma per i servizi a rete e membro del Consiglio Scientifico AIEE 

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Foto: via MaxPixel


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