Nel linguaggio politico con la locuzione “Fuga in avanti” – secondo il Vocabolario Treccani – “si suole indicare il fatto o la tattica di proporsi mete lontane, e spesso irraggiungibili, quando manchi la volontà o la capacità di risolvere i problemi immediati”. Esattamente quel che sta accadendo nella cosiddetta lotta ai cambiamenti climatici.
Visto che le cose non stanno andando affatto bene (come analizzato in un gran numero di post su questo Blog), e sono del tutto fuori linea rispetto agli obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi – consumi mondiali energia in forte aumento, persistente dominio delle fossili nei consumi primari (85%) e nella generazione elettrica (65%), scarsa rilevanza delle rinnovabili elettriche (7%), emissioni gas serra in aumento – la politica, anziché cercar di comprenderne le ragioni e provvedervi, opta furbescamente per la ‘fuga in avanti’.
Ovvero: alzare l’asticella degli obiettivi in termini sia quantitativi che temporali (dal 2030 al 2050), per apparire environmentally friendly e nella certezza di non essere chiamati a risponderne in caso di fallimento.
Subito dopo essere stata designata dai 28 paesi membri alla presidenza della Commissione europea, la signora Ursula Gertrud von der Leyen, sin lì ministro tedesco della difesa, ha annunciato che nei suoi primi cento giorni di mandato metterà a punto un “Green Deal per l’Europa” per renderla carbon neutral entro il 2050.
Del tutto d’accordo il vicepresidente, il lettone Valdis Dombrovskis che ha annunciato che l’Europa sarebbe così “la prima grande economia mondiale” a riuscirvi. Dimentico del fatto che se anche fosse l’impatto sulle emissioni globali sarebbe simbolico, data la decrescente quota su di esse di quelle europee (meno del cinque per cento a metà secolo).
La nuova Presidente della Commissione europea vuole alzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 55%, il Climate Action Network chiede che si arrivi al 65%. Perché non al 70%-80%?
Certo, meglio di niente, ma a quale costo? Per riuscire nel suo intento il nuovo Presidente si è impegnato a innalzare, dando per scontato (non essendo la Commissione a decidere) l’assenso del Consiglio e del Parlamento europeo, i precedenti obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030 (rispetto al 1990): passando dal 40% (fissato un anno fa) al 50% se non al 55%.
Il Climate Action Network (associazione di organizzazioni ambientaliste non governative) ha chiesto che si arrivi al 65%! Vi è da chiedersi perché non al 70%-80% visto che nulla sembra ostacolarne il raggiungimento. Obiettivi fissati prescindendo dalla loro fattibilità tecnico-economica; dalla loro onerosità; dagli impatti sui bilanci delle famiglie e delle imprese.
Obiettivi fissati prescindendo dalla loro fattibilità tecnico-economica, dalla loro onerosità, dagli impatti sui bilanci delle famiglie e delle imprese
Le reazioni alle intenzioni di Bruxelles, ca va sans dire, sono state entusiastiche da parte delle lobby industriali, che contano su una ripresa delle politiche di incentivazione, mentre molto più caute sono state quelle dell’alleanza dei Partiti Verdi europei che per altro aveva votato contro la sua nomina.
Molto calorose anche le reazioni dei media italiani. “Clima, qualcosa si muove” ha titolato La Repubblica all’indomani dell’intervista a Greta Thunberg in procinto di raggiungere l’America in barca a vela (dotata di pannelli solari e turbine sottomarine zero emission) messa a disposizione dalla Fondazione del Principe di Monaco con l’intento di partecipare al Climate Action Summit delle Nazioni Unite il 24 settembre e alla COP 25 di Santiago del Cile dal 2 al 13 dicembre prossimo.
Viaggiando in barca, ha sostenuto la 16enne, si evitano le emissioni di anidride carbonica, anche se è da presumere che l’aereo sarà decollato anche senza di lei verso l’America.
Tornando alle ‘Fuga in avanti’, essa sembra avverarsi anche per il nostro Paese. Gli obiettivi fissati nel Piano Energia-Clima del dicembre scorso, dall’essere ritenuti molto sfidanti (come sostenuto anche da Zorzoli su Energia) – con un aumento della potenza rinnovabile elettrica del 70% a 93 GWe nel prossimo decennio e investimenti per almeno 30 miliardi euro (fonte REF-E) – sono divenuti improvvisamente obsoleti, pur a fronte di una dinamica degli investimenti insufficiente alla bisogna.
Nonostante “la distanza tra le emissioni stimata a inizio 2019 e quelle corrispondenti alla traiettoria coerente con gli obiettivi 2030 resti comunque vicina ai massimi dell’ultimo decennio”, come afferma l’Enea, un esponente di punta del movimento ambientalista come Gianni Silvestrini ha chiesto che il Governo dichiari l’Emergenza Climatica (cosa comporti è per altro ignoto) e renda più ambizioso il Piano Energia-Clima.
In che modo? Esattamente come proposto dal neo Presidente della Commissione: innalzando anche per il nostro Paese l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 dal 40% almeno al 50%-55%.
Come riuscirvi, vista l’estrema difficoltà a muoversi in linea con gli obiettivi precedenti, non è stato chiarito. “Dunque, coraggio” ha invocato Silvestrini rivolgendosi al Governo. Non me ne voglia l’amico, ma, come disse Totò : “Il coraggio ce l’ho. È la paura che mi frega”.
In altri termini, se bastasse scrivere un obiettivo quantitativo su un qualche documento per essere certi di raggiungerlo, chapeau. Ma le cose, come si sa, non stanno affatto così e non bastano le parole per correggere un andazzo di tutt’altro segno.
Alberto Clô è Direttore Responsabile della rivista Energia
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